“Redemption song” di Bob Marley. L’eterno canto del cigno nero

Fra i molti successi che hanno costellato la produzione musicale mondiale, un posto di tutto rispetto è occupato da “Redemption Song” di Bob Marley. Il brano scritto nel 1979 e pubblicato l’anno dopo come ultima traccia dell’album “Uprising”, si allontana dal tradizionale stile reggae. Bob Marley la scrive in un momento molto delicato della sua vita, quando già convive con il cancro. Il tema centrale del brano è infatti proprio la sofferenza sia fisica che mentale. La canzone è una delle pietre miliari della storia della musica ed è stata ripresa e reinterpretata da numerosi artisti: da Joe Strummer a Johnny Cash, da Stevie Wonder a Bob Geldof, da Beyonce a Elisa.

“Redemption Song” di Bob Marley. La musica si ribella

Nato in un villaggio della Giamaica da un’unione ritenuta all’epoca scandalosa e quindi destinata a finire – padre giamaicano bianco di origini inglesi e madre una giamaicana nera -, Bob vive un’infanzia e un’adolescenza in un contesto povero e violento. Per sopravvivere a questo disagio trova rifugio nella musica e nella religione.

Diventa il leader di un gruppo reggae “The Wailers”(“Coloro che si lamentano”), prima di avere esperienze da solista affermando in tutto il mondo il suo successo e diffondendo messaggi di pace e uguaglianza. Il suo reggae diventa un’incitazione a liberarsi dalle sopraffazioni sia del corpo che dello spirito. “Redemption song”, incorpora alla lettera questi suoi messaggi; è un brano che trasuda sofferenza sia psicologica che fisica di cui Bob Marley in quel periodo è purtroppo vittima.

Cosa significa “Redemption song”? Liberazione dalla schiavitù

Già lo stesso titolo del brano preannuncia un significato profondo. “Redemption” significa letteralmente “Redenzione”, liberazione dal peccato attraverso una vita onesta o la sua espiazione. Ma in questo contesto può essere interpretato anche come liberazione dalla schiavitù, soprattutto una schiavitù mentale. Anche la scelta della parola “song” non è casuale; non fa riferimento solo ad una semplice canzone, ma richiama il canto di un popolo stanco, una specie di inno o di preghiera utilizzata per sentirsi più vicino a Dio.

Con “Redemption song” Bob Marley sembra quasi invocare una riscossa del suo popolo parlando proprio della tratta degli schiavi, compiuta ai danni delle popolazioni africane deportate e ridotte in schiavitù in America dal ‘600 fino all‘800. Ovviamente il tema della razza bianca che opprime quella nera è un tema che viene da lontano, ma Marley lo rivede anche nella sua esperienza familiare nel padre militare bianco di origine inglese, che diventa un prevaricatore nei confronti della madre, giamaicana e debole.

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“Redemption song” di cosa parla? Un inno di libertà e religione

Il concetto di libertà trattato nel brano è complesso e sottile, perché va oltre la libertà fisica. Il fine è quello di spezzare le catene e i condizionamenti imposti dalla società, per emanciparsi mentalmente e trovare la forza di reagire alle oppressioni. È necessario acquisire consapevolezza delle proprie capacità e potenzialità e scegliere come condurre la propria vita per svincolandosi dalle paure più radicate. Soltanto se l’uomo è disposto a pagare un prezzo e a mettersi in discussione, potrà liberarsi dalla schiavitù mentale.

«Emancipate yourselves from mental slavery, no one but ourselves can free our minds.» – “Redemption song” testo

Ma anche la religione ha un ruolo importante nelle canzoni di Bob Marley e “Redemption song” non fa eccezione. La prima strofa del brano riprende un episodio dell’Antico Testamento, in cui Giuseppe, gettato in una cisterna dai fratelli e poi venduto come schiavo, viene incoraggiato da Dio stesso e incoronato viceré d’Egitto. L’ispirazione della canzone arriva inoltre da un discorso di Marcus Garvey, scrittore e sindacalista giamaicano, che condanna le condizioni in cui venivano fatte lavorare le persone di etnia afroamericana e si batte per il loro ritorno in Africa.

È fiero sostenitore anche della profezia biblica sull’incoronazione in Africa di un Re nero, che sconfiggendo il colonialismo e estirpando il male, avrebbe preparato il continente nero al ritorno della sua gente. I giamaicani fanno loro questa specie di movimento politico trasformandolo in una fede religiosa: il rastafarianesimo esorta le persone a liberarsi dalle catene mentali auto-imposte. In questo contesto Marcus Garvey è considerato da molti musicisti reggae una sorta di profeta. Bob Marley sposa pienamente questa visione spirituale, diventa la voce di un popolo, l’espressione della lotta di migliaia di persone, il portavoce di sentimenti collettivi ed un punto di riferimento per il suo Paese.

Bob Marley consegnato all’immortalità

“Redemption Song” è un brano che si allontana dallo stile musicale tipico di Bob Marley, e forse è proprio per questa sua diversità che diventa immortale. Dopo averla incisa con la sua band, sotto suggerimento di Chris Blackwell – il fondatore della Island Records -, Marley ne registra una versione acustica: lui canta e suona una chitarra folk senza altri accompagnamenti.

Il brano diventa così una ballata folk tanto da essere preso per un pezzo di Bob Dylan o di altri artisti del genere. L’interpretazione è molto coinvolgente e toccante. Sembra che ogni singola nota abbia due anime: quella della sofferenza fisica di Marley e quella della speranza di superare un momento tanto angosciante.

Riferimenti e reinterpretazioni

Molti l’hanno definita come l’ultima e forse più bella interpretazione di Bob Marley, come se fosse il canto del cigno prima di morire. Il mix di intensità e semplicità ne ha fatto un instant classic, cioè uno di quei brani eccezionali e durevoli nel tempo, ripreso negli anni da molti altri artisti.

L’ultima re-interpretazione è di Bono degli U2 che, durante il discorso di ringraziamento per l’assegnazione di un premio a Washington, intona a cappella il brano. In questa occasione il brano, con i suoi rimandi biblici, si è prestato a ricordare l’esodo e allo stesso tempo il coraggio dei profughi ucraini.

Ma anche nella letteratura viene menzionato il titolo della canzone per trattare il tema del razzismo. Nel libro di Mike Marqusee su Muhammad Ali, l’autore sostiene che Ali non è stato solo un pugile, ma una rilevante figura politica per la liberazione nera e i movimenti contro la guerra.

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