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Romeo and Juliet dei Dire Straits, l’amore perso di Mark Knopfler

By Raffaella Stirpe
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Romeo and Juliet dei Dire Straits

Sembrano versi di una stessa opera, eppure non potrebbero essere più diversi, per età, contesto, personaggi e autore. Hanno più di 400 anni di differenza. Già, perché i primi sono versi scritti da William Shakespeare, nell’immortale tragedia “Giulietta e Romeo”, i secondi invece escono dalla penna di Mark Knopfler per la canzone “Romeo and Juliet” dei Dire Straits.

«And when he shall die. Take him and cut him out in little stars. And he will make the face of heaven so fine. That all the world will be in love with night.»

«You said “I love you like the stars above, I’ll love you till I die»

La musica ha da sempre avuto uno stretto legame con la letteratura. Nella sua anima più classica la corrispondenza testo-musica è fondamentale, basti pensare a “La signora delle Camelie” che ha ispirato “La Traviata” di Verdi oppure, alle “Novelle rusticane” di Verga che hanno portato alla composizione della “Cavalleria Rusticana” di Mascagni. Ma anche l’anima rock non è avulsa da questo tipo di influenza, così si può notare come “Bohemian Rapsody” dei Queen faccia riferimento a “Lo straniero” di Camus, o “Rime of the ancient mariner” degli Iron Maiden riassuma l’omonima opera del poeta inglese, Samuel Taylor Coleridge e così fino ad arrivare alla rock band inglese che con “Romeo And Juliet” omaggia la tragedia shakespeariana.

“Romeo and Juliet” dei Dire Straits dalla tragedia al rock

La canzone, che compie 40 anni proprio quest’anno, non rispetta però l’opera shakespeariana e già il titolo è il preludio ad un qualcosa di diverso. I nomi trasposti dei personaggi, infatti, indicano che il personaggio principale sarà Romeo, interprete non tanto di un amore ostacolato dal destino, quanto di un sentimento perduto e non più corrisposto, incarnando così il prototipo dell’innamorato sincero i cui sentimenti sono stati traditi oppure non vengono ricambiati.

Il brano racconta di un romantico e realistico dialogo tra un giovane uomo e una giovane donna, chiamati appunto Romeo e Juliet. Il Romeo dei Dire Straits, teneramente innamorato, si accinge a cantare una serenata malinconica sotto la finestra dell’amata Juliet, che però lo accoglie con distacco e indifferenza. Il dialogo tra i due giovani si trasforma così in un monologo di Romeo, che dopo aver ricordato le promesse non mantenute dalla ragazza, richiama alla mente i momenti piacevoli trascorsi assieme, cercando di persuaderla a riprendere il loro rapporto. Giulietta però non dà alcuna risposta…!

L’ambientazione iniziale richiama palesemente la famosissima scena del balcone della tragedia shakespeariana, rafforzando di fatto il legame tra le due opere. Ma nella canzone lo stato d’animo di Romeo è completamente diverso da quello del Romeo veronese. L’imbarazzo, l’impaccio, la delusione lo portano addirittura a cantare da solo senza avere una risposta.

Mark Knopfler confessa di essere il Romeo della canzone!

Il chitarrista e cantante della band, Mark Knopfler, ha confessato di aver scritto il brano traendo ispirazione dalla fine di una sua storia d’amore con la cantante americana Holly Vincent, forse per questo la figura di Romeo è intesa in senso ironico o autoironico. Descrive chi, disperatamente innamorato, non riesce a farsi una ragione della fine di un rapporto e, tentandole tutte per riconquistarla, finisce per rendersi ridicolo. Infatti, durante un’intervista in un programma televisivo spiegò.

«All’epoca di Romeo and Juliet vivevo a Camberwell. Non avevo mobili, mi ero appena trasferito da Deptford e ricordo di aver scritto il brano stando seduto sul pavimento, con un bisogno direi piuttosto disperato di mobili. Ricordo di aver pensato che la figura del Romeo della canzone era buffa perché c’è sempre un momento “tragico” quando vieni scaricato da una ragazza, o qualcosa del genere. Ma poi, dopo quello, c’è sempre un momento in cui ci ridi sopra. E mi è entrato questo in testa: la figura tragica di Romeo, se può andarvi, è una figura buffa.»

Sono passati anni da Mark Knopfler e la sua “Romeo and Juliet”, eppure il testo ancora cattura, rendendo la canzone una delle più apprezzate della band. Inconfondibile, infatti è il famoso arpeggio iniziale di chitarra, suonato proprio da Mark Knopfler. Durante le strofe l’accompagnamento musicale è relativamente semplice, ma il pathos si respira in quelle sapienti pause in cui la voce di Knopfler è accompagnata da un semplice tocco di batteria lasciando che le parole facciano il resto.

La canzone si conclude con gli stessi versi che l’autore aveva utilizzato per introdurre la vicenda, lasciando quindi intuire come le accorate parole del protagonista non abbiano sortito l’effetto sperato. Ma Romeo ha bisogno di crescere, di andare avanti e voltare pagina, cosciente del fatto che Juliet rimarrà una cicatrice profonda nel suo cuore, ma anche consapevole che

«Juliet I’d do the stars with you any time».

rock
Author

Raffaella Stirpe

Sono sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo essendo curiosa per natura e della natura. Ho sviluppato una forte dipendenza da musica e libri.

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“We Are Chaos” di Marilyn Manson. Il rock in crisi d’identità

By Raffaella Stirpe
"We Are Chaos" di Marilyn Manson

Con “We Are Chaos” di Marilyn Manson, il Reverendo del Rock torna alla ribalta. L’album è frutto della collaborazione con Shooter Jennings cantautore e produttore americano, vincitore anche di un Grammy e richiestissimo in sala d’incisione. La produzione è stata un po’ tortuosa, visto che i due artisti hanno cominciato a lavorarci nei ritagli di tempo quando erano ancora in tour. Hanno registrato in 7 Paesi diversi, in vari lassi di tempo. Sembra che addirittura Shooter abbia detto di non aver mai suonato così tanti strumenti come in questo disco. 

«Quando scrivevo un verso su qualcosa lui sapeva davvero dove andare musicalmente e creare la giusta atmosfera. In qualche modo si tratta di qualcosa di simile al fare la colonna sonora per un film o scegliere la giusta copertina per un libro, o dipingere per creare determinate emozioni.» – Marilyn Manson

I due artisti hanno cercato di creare un concept album, dove tutte le canzoni contribuiscono a dare un significato nel loro insieme, ruotando attorno a un unico tema. Da un punto di vista musicale, nonostante la presenza di Jennings, l’album non presenta un cambio radicale di sonorità rispetto alla recente produzione di Manson. Racchiude però tutti i suoi punti di riferimento musicali: da David Bowie a Leonard Cohen, dai Beatles a Elton John, evocato anche dai diversi richiami di pianoforte nel disco.

“We Are Chaos” di Marilyn Manson. La metamorfosi del Reverendo del Rock

“We Are Chaos” segna un grande cambiamento nello stile di Manson proprio a livello di contenuti. La ricerca spasmodica dell’effetto shock, cavallo di battaglia di Manson per molti anni, ha lasciato il posto ad una visione di vita totalmente cambiata. L’artista ha capito di aver indugiato troppo su un’immagine servita a rompere gli schemi, ormai superata, ed ha avviato una radicale opera di rinascita. Del solito Manson sono riconoscibili l’energia, la grinta e la voce cruda e distorta. L’album può essere visto come la confessione di un artista che vive una faticosa crisi di identità, o come la fine di un percorso che ha portato il Reverendo del Rock ad una crescita personale e artistica.

Sicuramente è un vero e proprio viaggio nella sua psiche e forse anche la sua opera più complessa. Il disco è come un insieme di stanze, e in ognuna vengono messe a fuoco le diverse anime di Marilyn Manson – artista e uomo – fino a farle quasi coincidere. È così che arriva alla consapevolezza di sé stesso, qualcosa di più dissacrante di tutto ciò che ha fatto sul palco fino ad ora. Se ad un primo ascolto l’album sembra quasi una visione intimista del vissuto di Manson, successivamente ci si rende conto che i protagonisti della storia sono gli ascoltatori. Perché ciascuno porta dentro un piccolo frammento di questo infinito caos.

I brani nel cerchio del Chaos

Manson e Jennings hanno lavorato molto per comporre il miglior mix possibile, mantenendo però una divisione concettuale dei brani e creando due lati ben distinti.

«Abbiamo fatto 10 tracce, come un LP classico, Lato A e Lato B, ci sono tre atti proprio come in uno spettacolo teatrale o in un film. Ma proprio come un LP, è un cerchio piatto e spetta all’ascoltatore mettere l’ultimo pezzo del puzzle nell’immagine che i brani creano.» – Marilyn Manson

Dalla prima canzone “Red Black And Blue”, emerge già un contrasto che non è solo cromatico. Tra il rosso e il nero, Manson propende per una terza via il blu. Ma è una scelta ambigua, perché se da un lato il blu suggerisce uno stato di serenità e di quiete, dall’altro può facilmente trasformarsi in rassegnazione e tristezza. Questa alternativa quindi non sembra una via di fuga e Manson riconosce di essere in un caos.
La titletrack, “We Are Chaos”, evidenzia come a questo caos interiore non ci sia cura. “Don’t Chase the Dead” e “Paint You with My Love” riprendono temi come la nostalgia e il rimpianto di un passato che è meglio non rievocare. Il quinto brano, “Half –Way & One Step Forward”, è la fine del primo atto e il momento in cui compiere un gesto definitivo per ristabilire un nuovo ordine.

La seconda parte si apre con “Infinite Darkness” in cui Manson esce dall’oscurità in cui ogni percezione di sé e del mondo è corrotta. Con “Perfume”, “Keep My Head Together” e “Solve Coagula” l’artista ha finalmente accettato i suoi limiti, i suoi confitti irrisolti e le sue ferite. Sente di nuovo il profumo del mondo, anche se l’odore dei pericoli non è scomparso. L’ultimo brano però, “Broken Needle”, nasconde un finale tragico. Quella consapevolezza ritrovata era solo un’illusione. L’uomo è tornato a naufragare nel suo personale caos.
E così il cerchio si chiude. L’ultimo brano si ricollega al primo e tutto riparte.

La reazione della critica

La cover dell’album è stata creata dallo stesso Manson. “Infinite Darkness” è un autoritratto con il volto quasi sfumato nell’oscurità e macchiato da diversi colori. Proprio come il disco, anche il dipinto sembra essere il più eterogeneo della sua carriera. L’album nel suo complesso è stato accolto positivamente dalla critica musicale, ottenendo posizionamenti di tutto rispetto nelle classifiche delle varie riviste di settore. La produzione, la musica e i testi sono stati considerati come tra i migliori dell’intera sua discografia.

“We Are Chaos” di Marilyn Manson è conciso, senza riempitivi superflui, e il cantante è stato lodato per il fatto di essersi concentrato più sulla scrittura che non sullo “spettacolo”. È molto piaciuta anche la collaborazione tra i due artisti che, nonostante siano musicalmente molto diversi, sono riusciti a «creare, se non perfezionare, una calorosa ballata di angoscia per i Millennial» (Magazine Clash).  I fan più radicali non hanno accettato positivamente l’album, perché pensano che la star del rock stia diventando troppo buono e conformista. Ma la strada che ha intrapreso il Reverendo è comunque qualcosa di nuovo.

«Mentre scrivevo questo album, ho pensato tra me e me: “Doma la tua pazzia, aggiustati il completo. E prova a far finta di non essere un animale, ma sapevo che l’essere umano è il peggiore di tutti. Avere misericordia è come commettere un omicidio. Le lacrime sono la perdita più grande del corpo umano”.» – Marilyn Manson

Ciao, Ezio Bosso. Un artista autentico fino alle lacrime

By Claudia Gaetano
Ezio Bosso. Musica classica

È il 15 maggio di un’insolita desolata primavera a Bologna. Il cielo ormai da giorni è cupo e mesto, grossi nuvoloni come cumuli di fuliggine sovrastano in cielo, in un’atmosfera di lutto non ancora annunciato. Da lì a poco si spargerà la notizia: la scomparsa del grande Maestro, pianista, compositore, direttore d’orchestra Ezio Bosso.

La società musicale e l’intero mondo ne onora l’animo e la passione, con l’amara consapevolezza di aver salutato non solo un artista che ha dato tutto sé stesso alla musica, ma che ha dato tutto sé stesso alla società e ad ogni individuo che si sia mai soffermato a prestare orecchio alla sua di musica, vera, intima, come pezzi della sua stessa anima.  Ed infatti questo non è un addio vero e proprio, per citare le sue parole «la dodicesima stanza non è l’ultima…» , tratto dall’antica teoria che ispirò il suo primo disco ufficiale da solista “The 12th Room”. In ogni stanza, si svolge una fase della vita, alcune talmente remote da non poter ricordarle e, dopo l’ultima, si può ritornare alla prima. E così, ricominciare.

«Per me la morte non esiste, è una parte della vita. La musica è una fortuna, ed è la nostra vera terapia.»

Ezio Bosso Maestro di musica e di vita

Ezio Bosso non lo si può ricordare se non come un’anima libera, impossibile da afferrare ed intrappolare. Il suo spirito trascendeva la gabbia della sedia a rotelle, del corpo che smetteva di rispondergli, era capace di questo. A primo impatto emergevano le sue incredibili doti più che le sue sfortune, più di tutto la sua inesauribile passione per la musica e per le persone. Per questo motivo ha continuato a combattere anche in quarantena, l’ennesimo gigante da sconfiggere, che gli impediva di estendersi tra i mille progetti – tra cui un prossimo concerto programmato all’Arena di Verona, con la Nona di Beethoven -. Tra le molte lotte che affliggevano la sua salute, la sindrome neuro-degenerativa avanzava anche durante la quarantena, la stessa che nell’autunno del 2019 gli aveva imposto di allontanarsi definitivamente dagli adorati tasti del pianoforte, strumento tanto amato e con il tempo quasi un’ossessione.

Ed è qui forse il messaggio più bello che poteva lasciare Ezio Bosso, quello di non lasciarsi mai abbattere dalle avversità che ci impone una natura crudele e priva di considerazione. La sua filosofia di vita era quella di raccogliere i momenti belli e di usarli come “maniglie” nelle situazioni senza via d’uscita. Spesso, diceva, a furia di parlare del buio pensiamo che la luce non esista più. Quindi non la cerchiamo, non la ricostruiamo. Invece bisogna sempre ricordarsi che si può fare di meglio, si può vivere meglio. La musica, per Ezio, era la maniglia fondamentale per rialzarsi dal buio, e l’orchestra, dal primo all’ultimo strumento, il prototipo perfetto di una società migliore. Ognuno fa la propria parte ed ognuno si migliora di volta in volta per permettere all’insieme di creare cose straordinarie.

«Sono in ogni nota che ho curato
Esisto in ogni nota insieme
Alle mie sorelle e fratelli
Figli o nipoti
Sono ogni nota studiata
Suonata e donata
Amata
perché non c’è nota che non ami
E che non abbia amato (…)
»

-Ezio Bosso, poesia dedicata alla sua orchestra dalla quarantena

La sua lotta per la musica “libera” 

Ciò che accadeva sul palco tra il direttore Ezio Bosso e l’orchestra intera rappresentava uno dei momenti intimi dell’essenza di un uomo. Eppure tra le diverse battaglie per la sua salute fisica non mancavano anche quelle contro i pregiudizi. Fin dall’infanzia gli avevano sempre detto che un “povero” non può fare il direttore d’orchestra, non può diventare musicista. Che un figlio di operaio deve fare l’operaio. Ezio da sempre lottava contro i pregiudizi, già prima della sua malattia.

Voleva essere riconosciuto come un uomo di musica, non un musicista reso famoso dalla sua disabilità, come avevano erroneamente disegnato di lui i mass media durante un’edizione di Sanremo. Le sue problematiche erano impossibili da negare, lo sapeva bene, ma se di lui volevano vedere solo una sedia a rotelle, avrebbero continuato a vedere solo quella. Ezio era contrario alla speculazione cosiddetta classicista: lui, la musica classica, la definiva piuttosto “libera”. Fare musica classica, aveva dichiarato, oggigiorno è un gesto rivoluzionario perché non basta farla bene, deve trascendere da schemi e regole per arrivare all’orecchio della gente.

«Io la carriera me la sono guadagnata, la disciplina che ho appreso allora, oggi mi guida e mi aiuta a convivere coi miei dolori.»

La musica classica grande rimedio alla vita

La stessa malattia che non era riuscita a cancellare trentasei anni di studio, una memoria eidetica, con cui a volte era difficile convivere, e un orecchio capace di distinguere le note di ogni strumento. Eseguiva ogni spettacolo a memoria, dava uno sguardo veloce prima dell’esibizione ai passaggi che poteva migliorare, li “accarezzava” con le dita, per dimostrare che aveva rispetto di ogni nota.

Questo era e continuerà ad essere Ezio Bosso, un uomo che sentiva il compito di spiegare e avvicinare ogni persona alla straordinarietà della musica, per mostrare che non deve essere per forza un’entità spaventosa, ma che è piuttosto purificatrice dell’anima, capace di raggiungere individui in ogni parte del mondo e di emozionarli tutti allo stesso modo, fino alle lacrime. Cercava di spiegare ed avvicinare il pubblico ad artisti solitamente considerati ormai lontani, come Beethoven – che chiamava il suo papà musicale –. Per farlo, invece di usare mille parole, preferiva alzare la sua bacchetta, proprio come un mago, e all’improvviso appare chiara la bellezza intrinseca di ogni più piccola cosa.

«La musica insegna la cosa più importante: ascoltare. E si può fare in un solo modo, insieme.»

1 Comment
    Agostino Bolli says:
    Aprile 4th 2020, 9:12 pm

    brava!

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