
“Servo e Serva” di Ivy Compton-Burnett si sgancia dalla tradizione inglese di Jane Austen
“Servo e Serva” di Ivy Compton-Burnett, che lei stessa ha annoverato tra i suoi preferiti, viene dato alle stampe il 1947 . L’atmosfera affascinante, densa di segreti e di non-detti dell’alta società impreziosisce un racconto originale e semiserio, dai tratti tragicomici, tipici della scrittrice inglese. Ottime sono le referenze di cui gode: da Hilary Mantel a Virgilia Woolf fino a Natalia Ginzburg. Ivy è un modello di sapienza scrittoria e di tecniche narrative che hanno portato La Stampa a definirla «una Jane Austen novecentesca, impietosa e senza illusioni».
Precisare che sia “novecentesca” non è certo un aspetto da poco. I nuovi tempi, usi e costumi -nonché linguaggi e modi di fare- che hanno caratterizzato il Secolo Breve e che lo hanno differenziato dai precedenti emergono vistosamente tra le pagine di Compton-Burnett. Se nei romanzi di Jane Austen, la nobiltà si prende tutta la scena ed è assoluta protagonista delle vicende, in questo di Ivy Compton-Burnett ampio spazio è lasciato anche al popolo. All’epoca della pubblicazione di “Servo e Serva”, la fine di entrambe le guerre mondiali aveva lasciato con sé venti di crisi e di instabilità, e al contempo la volontà di creare nuovi assetti. Di accorciare le distanze. Ciò sembra più evidente in “Servo e Serva” e proprio nell’eguale spazio narrativo ritagliato tra i protagonisti dell’élite – la quale certamente ha un sapore diverso da quella di Austen; sembra meno infallibile, meno robusta – e le maestranze del palazzo di famiglia, dove si svolge l’intero romanzo.
Ricchi e poveri. Tutti in crisi, tutti egoisti
Come lo stesso titolo denuncia, la scrittrice riserva parte della scena ai lavoratori che ruotano intorno all’ambientazione principale -la casa della famiglia Lamb- e che partecipano delle loro vicende. Spesso i “servi” si riuniscono e discutono delle dinamiche familiari -denominazione nella quale confluiscono la cuoca e la sua aiutante Miriam, il maggiordomo Bullivant e il cameriere George-. Lungi dal dispiegamento di forze che ci si immagina, le maestranze sono poche, il che è un dettaglio curioso che la scrittrice inserisce forse per farci comprendere la più grande differenza con la letteratura inglese dei suoi modelli. La nobiltà è in ristrettezze e può contare solo sulle proprie forze, che sono esigue e spesso insufficienti. La crisi, però, non colpisce soltanto le tasche dei piani alti, ma anche i suoi valori.
Con un gusto narrativo che tende alla parodia e alla tragicommedia, l’autrice si serve di un narratore onnisciente per affrontare quelle tematiche che rendono “Servo e Serva” così peculiare. Primo tra tutti i temi chiave, quello dell’egoismo occupa un posto centrale sin da subito e colpisce tutti i membri della famiglia Lamb e anche i componenti della servitù. L’egoismo come conseguenza imprescindibile della crisi di valori, anche a costo di ledere qualcun altro, suona familiare in personaggi come Horace – l’ostinato e irreprensibile capofamiglia – o George, disposto a tutto pur di farla franca. La scelta dell’autrice di avvalersi di un basso numero di personaggi, raccolti in una cerchia ristretta e legati da parentela o da collegialità, di un’ambientazione sempre uguale e di poche svolte narrative aumenta questo sentimento di generale egoismo.
La vaghezza dell’incoerenza. Un linguaggio ad hoc per avvalorare la crisi
Il narratore compare ben poche volte tra le pagine del romanzo, che, alla maniera di quelli di Jane Austen, sembra favorire l’uso di dialoghi piuttosto che di interiorizzazioni. Gli scambi di battute mostrano la caratteristica principe e più riconoscibile della scrittura di Compton-Burnett, l’ironia per mettere in luce le incongruità dei suoi personaggi. Proprio nei dialoghi rende evidente una perdita di precisione, di concretezza, in favore di questa sempre più presente ambiguità.
«Sì, è così che si dovrebbero vedere le cose, parlarne e trattarle […]. Esporle agli altri senza infingimenti, senza escludere nessuno. Così nulla può fermentare e suppurare; le cose mantengono la loro integrità e dolcezza, naturalmente protette dalla luce del sole.»
Questo è quanto il personaggio un po’ ficcanaso di Gertrude dice davanti ai suoi figli, ma è quanto assolutamente non emerge nel romanzo. E quanto Compton-Burnett si premura che non emerga. Per rappresentare criticamente il mondo incoerente dei piani alti, ha bisogno di vaghezza, di un linguaggio poco esplicito. Tutto il contrario di ciò che fa dire al personaggio di Gertrude.
In realtà, il bisogno di verità e di trasparenza è un altro tema ricorrente nel romanzo, ma sembra quasi una speranza destinata a non concretizzarsi. Infatti, sono più frequenti i sottintesi, i giochi di parole che i chiarimenti. Al tempo stesso, anche i personaggi sono tutti complessi, doppi, talvolta persino spiazzanti, come nel caso dei figli che chiamano il padre Horace «una persona che ci conosceva e che parlava con noi», senza coinvolgimento né chiarezza. Pertanto si potrebbe dire che “Servo e Serva” di Ivy Compton-Burnett possa essere uno spaccato complesso non solo di una classe nobiliare, ma anche di una vera e propria famiglia in crisi.