“Spatriati” di Mario Desiati e la difficoltà di appartenere

“Spatriati” è un romanzo di Mario Desiati edito nel 2021 e vincitore del Premio Strega. Chi ne ha già letto le pagine sa quanto sia complesso dargli una forma. I singoli temi, che lo rendono un testo interessante, se amalgamati insieme in una narrazione unica, si intrecciano e formano una matassa di sentimenti e riflessioni insidiosi. Ma è proprio questo senso di inafferrabilità dell’essere umano a costituire il centro del romanzo.

Chi sono gli “Spatriati” di Mario Desiati?

È di sicuro un rischio avvalersi di personaggi difficilmente catalogabili. Tuttavia, permette di ritrarre in modo onesto l’essenza di ogni persona, adulta o meno che sia, e di una certa generazione. La narrazione di “Spatriati” si estende per circa 30 anni, che passano velocissimi, come accade nella vita vera, quella fuori dalle pagine. Nell’arco di questo periodo, si assiste alle prime fasi adolescenziali dell’amicizia tra il timido Francesco e la spavalda Claudia, ai drammi dei 20 anni e alle svolte dei 30 sino alla crisi dei 40. Nessun cliché e nessuna abitudine a tenerli uniti ma solo una sincera attrazione l’uno per l’altra, che Desiati assesta ai limiti tra il sessuale e l’affettuoso.

Claudia e Francesco sono i primi due spatriati del titolo a cui, d’istinto, si pensa. Ma non sono i soli. La definizione del termine viene fornita proprio dall’autore che lo utilizza anche come titolo di un capitolo, assieme ad altri in pugliese, in tedesco e un ultimo in italiano. Spatriato è nello specifico chi emigra o viene cacciato dalla propria terra d’origine, per estensione chiunque non abbia un punto fermo o una meta. Perciò, a ben vedere, tutti quelli che popolano il romanzo lo sono a modo loro. Alcuni si allontanano fisicamente dalla terra natia, altri cercano la propria identità lontani dalla famiglia che si sono creati, altri ancora evadono con l’aiuto di droghe e alcol. I personaggi non sono molti, il che permette di notare meglio la loro comune condizione di spatriati.

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Le origini di Martina Franca e la fuga a Berlino

Come i titolo dei capitoli dimostrano, “Spatriati” può essere diviso in 2 sezioni. La prima, quella annunciata dai titoli in pugliese, inquadra le esperienze adolescenziali e giovanili dei due protagonisti alle prese con problemi familiari e con le prime esperienze a tutto tondo. Primi amori, prime delusioni e sofferenze, il primo punto di vista sulla vita vera. Martina Franca, in Puglia, assiste a tutto ciò, talvolta impietosa e altre volte gentile.

La loro terra è una madre simile a quelle che li hanno generati: è distaccata, addirittura anaffettiva, ma anche tenera nella sua libertà. Le loro famiglie si attirano i loro primi sentimenti da spatriati. Ne osservano i difetti e le storture, le giudicano e arrivano al verdetto silenzioso: non saranno mai come loro, pertanto espatrieranno innanzitutto dai nidi.

«Nelle famiglie non esistono segreti, ma solo dei patti dolorosi, a volte miserabili, a volte irrinunciabili, dei “non detti”. E nei non detti ci sono le verità profonde, le crisi, la lotta tra bene e male, l’origine delle relazioni e di tutti i traumi.» 

La seconda sezione riguarda le esperienze berlinesi di Claudia e Francesco, che decidono di allontanarsi dalle campagne pugliesi, che li hanno masticati e sputati come rifiuti. Ma la parentesi nell’Europa del neonato millennio, che sogna l’inclusività e un’unione di culture, esplicita il sentore che serpeggiava da sempre in Francesco. Le differenze con la sua amica generano in lui la paura di un ulteriore, insostenibile, distacco, stavolta da Claudia.

Con l’età adulta, la spavalderia di lei è diventata innocua sicurezza, mentre la timidezza di lui introversione e non appartenenza. Proprio nelle vicende di Berlino, che sono il cuore del romanzo, la voce interiore di Francesco, narratore in prima persona, aumenta di tono. Grazie all’inevitabile sentimento di solitudine di ogni emigrato, punta il focus su se stesso e comincia un percorso di accettazione di sé nelle stanze calde e appiccicose dei club della Capitale tedesca e in un rapporto d’amore di una muta profondità. “Amore” è anche il titolo dell’ultimo capitolo: apparentemente in italiano, è però lingua universale in cui confluiscono vari significati.

La scrittura sensibile e sfacciata di Desiati riflette i due protagonisti

La scrittura di Mario Desiati è sincera e audace. Spazia tra immagini delicate e sensibili, che veicolate dal narratore Francesco rendono tutto più credibile, e scene ardite. Sembra quasi che, con questa opposta duplicità, abbia voluto ricreare le due anime tanto diverse dei protagonisti: il tocco morbido di lui e la parte sfacciata di lei. Apprezzabile per le descrizioni affatto imbarazzate e mozzate delle scene di sesso, contiene anche la finezza di chi conosce fiori e piante e ha uno stretto rapporto con la natura

I richiami alla cultura che ha ispirato l’autore sono un punto caratteristico del romanzo, che si vive capitolo per capitolo, una tappa dopo l’altra. Ricorrente è soprattutto l’omaggio agli scrittori e ai poeti pugliesi, da Vittorio Bodini a Maria Corti e Mariateresa Di Lascia, come vistoso è il debito che Desiati – ma anche i protagonisti stessi – hanno contratto con la terra pugliese.

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