“Streghe e incantesimi” di Salvator Rosa. La magia nera

"Streghe e incantesimi" di Salvator Rosa

“Streghe e incantesimi” di Salvator Rosa. Dalla satira alla pittura magica

“Streghe e incantesimi” di Salvator Rosa, uno dei più grandi artisti che il Seicento e larte barocca possano vantare, è purtroppo poco conosciuto al grande pubblico. Merita però un’accurata considerazione per aver riassunto nella sua arte tutte le tendenze artistiche italiane ed europee dal paesaggio alle opere di storia a quelle dal contenuto morale.

Il titolo scelto dall’artista rimanda ad una fase della sua vita dedicata allo sviluppo di tematiche filosofico-morali e alla rappresentazione magica ed esoterica. Sempre a Firenze e su commissione di alcune famiglie, realizzò quest’opera nel 1646, oggi custodita alla National Gallery di Londra. Da sempre Rosa era affascinato dalla magia nera e aveva amato questo genere pittorico. Già a Napoli aveva avuto i primi contatti grazie alla cultura popolare legata fortemente al macabro, ma lo avevano influenzato anche le opere dei nord europei Leonard Bramer e Jacob Swanenburgh.

“La Strega”

Introduciamo l’analisi del dipinto con la satira “La Strega”, composta dallo stesso autore e perfetta per riprodurre la giusta atmosfera.

«In quest’atra caverna,
ove non giunse mai raggio di sole,
dalle tartaree scuole
trarrò la turba inferna:
farò che un nero spirito
arda un cipresso un mirto.
e mentre a poco a poco
vi struggerò l’imago sua di cera,
farò che a ignoto foco
sua viva imago péra,
e quando arde la finta arda la vera.»

Il soggetto rappresentato e commentato in satira si riferisce all’antico tema dell’amore non corrisposto. La donna, che diviene qui strega, minaccia di distruggere il suo amato per le sofferenze d’amore causate. L’uomo infatti ha osato rinnegare il suo amore per lei, attirando su di sé la vendetta della strega che con un incantesimo riesce a demolire l’immagine dell’uomo da fiamma finta a fiamma vera.

La magia nera e l’avversione ai valori cristiani

Al centro della composizione troviamo un tronco d’albero secco su cui è appeso un cadavere, simbolo indiscusso dell’avversione per i valori cristiani.  Probabilmente il rimando è anche a Giuda, impiccatosi dopo il tradimento. Nonostante si tratti di una persona ormai defunta, si scorge una figura femminile nell’atto di offrirgli l’incenso, come se fosse ancora vivo. Si tratta di scene giustapposte e a sé stanti, ognuna con un preciso significato simbolico vestito di magia nera.

Il dipinto mostra centralmente una strega che taglia le unghie dei piedi al cadavere per ricavarne antidoti e pozioni. Tutti i giochi dell’illecito e della possessione sono qui rappresentati. Due donne, in basso, sono concentrate in riti malefici. Un uomo, rappresentato simbolicamente dalla statuetta in terracotta, è il soggetto della jettatura ed il suo volto si riflette nello specchio che ha di fronte. Un’altra strega pesta le interiora in un mortaio, un cavaliere dà fuoco ad un coniglio, ma allo stesso tempo è sottomesso alla figura di un poeta. Ed ancora scene di negazione di fertilità, magia nera e tutto quanto possa rendere al negativo la figura femminile.

Siamo vicini all’alba, lo capiamo dal blu che inizia a scorgere all’orizzonte e che riporta all’ora delle streghe. Il gotico ed il tetro sono qui ben riassunti come concetti fondamentali dell’arte al negativo. Se di solito l’arte è rappresentazione del bello, dell’ideale e di tutto ciò che è umano, qui è espressa al massimo l’antitesi ad ogni forma di valore positivo. Il genio artistico è degno anche di questa tipologia di rappresentazione e Salvator Rosa ci riuscì degnamente. 

La vita di Salvator Rosa e il suo tempo a Napoli

Salvator Rosa fu pittore, attore e compositore satirico. La vena napoletana si espresse così in maniera completa e la vita fu subito intrecciata al contesto artistico. Già dal 1630 dipinse sotto la guida del nonno e dello zio. Suo cognato era Francesco Francanzano, allievo di Giuseppe Ribera. Sfidò Bernini in chiave satirica, nella Roma potente dove era maestro della grande arte papale sotto il pontificato di Urbano VIII. Eppure Rosa lo provocò pubblicamente in occasione del Carnevale del 1639, commentando una sua scenografia da festa. Il Carnevale, in cui compare nelle vesti di attore e commediografo, fu l’occasione per mostrarsi favorevole alla moda di mettere in scena le antiche feste romane “I Saturnalia”. 

Dopo la fase romana, Rosa andò a Firenze sotto Giovan Carlo dei Medici. Era conosciuto nel mondo dei mecenati come artista di paesaggi e vedute nonostante la sua vocazione per la pittura di storia. In questi otto anni toscani, Rosa dette alla sua pittura il carattere romantico che lo anticipò verso lo sviluppo di un’arte più intima e simbolica. 

 

Autore: Raffaella Famiglietti

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