Il tempo è una variabile relativa quando si è al cospetto del poliedrico trasformista Arturo Brachetti, in scena al Teatro Cilea con il suo spettacolo “Solo”, un one man show vorticoso in grado di plasmare il diletto dello spettatore attraverso un racconto diviso in capitoli (o meglio in “stanze”) come se sfogliassimo dal vivo la biografia del funambolico artista torinese.
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La casa, l’infanzia, la favola
Brachetti ci conduce per mano in una narrazione odeporica, incentrata sulla sua infanzia. L’artista introduce sul palco una trasposizione in miniatura della sua casa, portandoci, con l’utilizzo di una piccola telcamerina, alla scoperta delle sue stanze, delle sue suppellettili e, prendendo spunto da un televisorino posto nel salotto, il trasformista ci catapulta, attraverso quick-changes travolgenti, alla scoperta delle serie tv che lo hanno accompagnato da giovane. Dall’incredibile Hulk ad Happy Days, passando da Baywatch fino ad arrivare alla signora Fletcher.
La casa come metafora di intimità, calore e memoria sono la base del percorso evolutivo e artistico di Arturo. Sette stanze dal bagno alla camera da letto, una diegesi che sublima l’aspetto onirico, strizzando l’occhio alla favola.
L’elemento favolistico è tassello emblematico sulla scena e il dualismo fantasia/ realtà è affrontato concretamente sulla scena da Brachetti, che –come un novello Peter Pan- si scontra con la sua ombra (interpretata dall’artista Kevin Michael Moore). L’ombra spinge l’autore a mantenere i piedi ben saldi a terra e a non perdersi nei meandri dell’immaginazione, ma il trasformista non curante delle ammonizioni del suo “alter ego”, prosegue i suoi voli pindarici, anzi i suoi cambi pindarici, prendendo le sembianze in una frazione di secondo sia del Lupo che di Cappuccetto rosso, di Aladino e Peter Pan e infine di una spavalda Biancaneve.
Lo Spotify in carne e stoffa
La carrellata di personaggi interpretata da Brachetti approda anche alla musica, uno spotify in “carne e stoffa”. Dalla playlist prendono vita un’esilarante Madonna anni ’80 con i seni rotanti, una spregiudicata Beyoncè che balla sulle note di “Single ladies” e un Micheal Jackson da thriller. Luci stroboscopiche, fumo e balletti condensati di ironia e divertimento non lasciano possibilità allo spettatore, se non quella di seguire a tempo di musica l’esibizione.
Ombre cinesi e disegni sulla sabbia
Il talento di Brachetti è avvolgente e non si racchiude nel singolo sintagma dei suoi eccezionali cambi d’abito. L’artista torinese palesa una virtuosismo eclatante con le sue mani, che sciorinano una pletora di animali in chiaro scuro con la nobile arte delle ombre cinesi. Un segugio dal naso di pollice e un elefante gagliardo mentre si abbevera, conigli intenti ad accoppiarsi, oche e felini, il tutto condensato da versi onomatopeici, come se lo spettatore fosse intento a deliziarsi davanti ad una puntata speciale del National Geographic.
L’arte come concetto olistico si manifesta lungo gli angoli di un tavolo in cui, con una manciata di sabbia, Brachetti crea bozzetti con paesaggi dapprima assolati e poi plumbei e autoritratti goliardici nel breve giro di pochi secondi.
Restare bambini e il solo modo per affrontare l’età adulta
Il messaggio di Arturo Brachetti è evidente nel modo in cui affronta la sua ombra nei quasi 90 minuti si spettacolo: conservare l’immaginazione e la fantasia dell’io fanciullesco è fondamentale per vivere la vita con leggerezza e gioia. Leggeri e gioiosi come bambini si sentono gli spettatori mentre osservano a bocca aperta uno show che si misura in sogni.