“David” di Joele Anastasi, assenza tra rinascita e morte ideale

"David" di Joele Anastasi
ph Ivan Nocera

«Ho provato ad immaginare» ed è tutta la vita che prova ad immaginarlo, perché altrimenti come farebbe a spiegarlo? È con questa suggestione che si apre “David” di Joele Anastasi, andato in scena durante il Napoli Teatro Festival con la compagnia Vuccirìa Teatro.

«Come lo spiego che sei la voglia di amare che abita in me, fratello mio?»

Con la forza essenziale dell’amore per un fratello, David rivela sin da subito come l’amore sia l’essenza di tutto, l’essenza di una vita vissuta tra fantasia e solitudine. 

“David” di Joele Anastasi. L’amore prende vita dall’assenza

L’amore viscerale per il fratello da parte di Antonino, primogenito, scaturisce dalla sua immensa solitudine. Una solitudine che è “di casa” ed è la forza attraverso cui racconta di David e desidera portarlo in vita, perché «le cose esistono anche quando sono assenti.» Lo immagina vivo per sopravvivere a questa solitudine. In questo terreno di ricerca e fantasie spazia cercando la forma delle cose e dando un nome a questo amore irrefrenabile di cui ha da sempre sentito il peso come la pulsione e il desiderio di ricongiungimento.

Antonino è logorato dall’assenza tanto da crearsi un rapporto immaginario con David, presente in scena nella sua purezza originaria, in una nudità e bellezza statuaria che fanno da elogio all’iconografia classica e agli ideali a cui si riferiscono. Il rapporto tra i due è un rapporto di amore e odio. Uno è l’altro di se stesso e si riconoscono in questo eterno gioco ed eterna altalena dei ricordi, che fungono insieme all’immaginazione da elemento di vita e ricongiungimento.

Il dramma muto riempie la scena

“David” di Joele Anastasi è la storia di un dramma familiare: del silenzio di una madre stanca e straziata dal dolore; del silenzio di un padre che, condannato alla sua pena e perso nei sensi di colpa giorno dopo giorno cura con costanza il suo orticello di fiori. La famiglia che è seme di vita e speranza diventa luogo di morte e solitudine. La dolorosa perdita di un figlio è motivo per la madre di un abbandono a se stessa. Una donna che non è più donna, una donna chiusa nel suo dolore che non riesce ad essere più né moglie né madre. Lei non riesce a lasciare andare, attanagliata in un passato troppo vivo nei suoi ricordi, sopravvive in solitudine e non ha il coraggio di perdonarsi e perdonare.

I sensi di colpa di Franco, il marito, e la volontà di espiazione lo inducono invece a delle azioni quotidiane guidate dalla rassegnazione di chi sa che non può cambiare le cose, un’infinità di gesti uguali che servono ad elaborare un lutto. Aspetta, trova sfogo e senso nelle sue azioni quotidiane di cui non farebbe a meno. Franco si contraddistingue ciononostante per la speranza di una rinascita, la nascita di un seme di un fiore da cui nacque il loro bell’amore. Un fiore, che è David.

Grazie al grande impegno profuso da parte degli attori, nonché alla loro carica emotiva con una presenza sul palco intrisa di gestualità e mimica con la naturalezza che contraddistingue la compagnia Vuccirìa teatro, la storia arriva ben prima delle parole. In un mutismo che pervade il palco, prendono vita parole e pensieri di un fratello entusiasta di portare a concepimento una parte di sé, se non se stesso, con l’immagine di David.

«Tu sei me e io sono te.»

Dall’acqua e nell’acqua il ritorno alla vita

Sempre presente in scena una vasca piena d’acqua, simbolo di stralci di vita quotidiana e di momenti goliardici tra padre e figlio, ma anche di origine, nascita e ritorno a tutte le cose. Come «le lacrime sono il mare» così il mare si specchia negli occhi dei due fratelli, così si ritorna al mare per rinascere. E i due fratelli rinascono mediante l’elemento dell’acqua simbolo di trasformazione, di un legame indissolubile e puro, vero ed essenziale, altro e alto, come il valore della famiglia da cui si nasce e con la quale ci si ricongiunge. L’indissolubilità di un legame che dà e toglie vita. David è bellezza della vita, è rifugio, speranza che si possa non morire per amore. Il troppo amore che fa male e trascina giù negli abissi ma, come ricorda il protagonista, anche negli abissi si può sopravvivere. Vivere di un ricordo o ritornare a vivere. Come sempre allo spettatore la riflessione finale.

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