“Don Juan in Soho” di Patrick Marber sul carosello della finzione

“Don Juan in Soho” di Patrick Marber (già apprezzato in “Closer” per cui è candidato agli Oscar) è una rivisitazione del Don Giovanni di Molière. Il teatro Bellini di Napoli ne ripropone la messa in scena con l’allestimento di Gabriele Russo e la recitazione di Daniele Russo (nei panni del protagonista).

A quasi due anni dalla chiusura per Covid, il teatro riparte e non ci si poteva esimere dal portare in scena una commedia dal carattere dinamico e originale che rimanda paradossalmente al vuoto vissuto, allo stordimento e alle privazioni che hanno segnato l’ultimo biennio italiano. La scenografia, così come i costumi, richiamano la società moderna puntando l’indice sulla dissolutezza, sui vizi e sulle perversioni che abitano nel profondo dell’uomo.

“Don Juan in Soho” di Patrick Marber. Una vita tra vizi e perversioni

“Edonista amorale in una società drogata dall’eccitazione”,  il Don Juan di Patrick Marber -così ne parla Antonia Brancati-, è l’emblema della corruzione d’animo in un mondo anch’esso corrotto che, nascondendosi dietro il nefasto piacere, non si mostra mai per come è realmente. Spietatamente sempre alla ricerca delle esperienze sessuali, Don Giovanni non allude ai piaceri della carne perchè li impersona direttamente e li vive ogni volta come iniziazione e glorificazione di se stesso. Non riesce a vivere senza peccare in una innuerabile lista di meretrici, amanti e una candida moglie -inevitabilmente cornificata-. È proprio il tradimento coniugale a rivelare la sua natura viscida e meschina: una volta posseduta la sua “verginella”, la abbandona ed è pronto a barattarla con altre donne.

I personaggi in un carosello tra oscura verità e finzione

I personaggi di “Don Juan in Soho” passano in scena come diapositive senza tempo, manichini del desiderio. Tutto lo spettacolo si svolge su una piattaforma rotante. Una bella sfida fisica per gli attori, che rende possibile la rappresentazione di più ambienti: la casa stessa di Don Giovanni, una stanza d’albergo, una discoteca, una piazza. La dinamicità però si intervalla con spazi statici in base alle vicende rappresentate. Uno sguardo si affaccia anche sul dietro le quinte, rivelando la doppia natura dei personaggi: da un lato l’aspetto che mostrano al mondo, dall’altro il volto delle loro incoerenze e perversioni, riscatti e vendette, o la voglia di riconoscenza e redenzione. In fondo hanno una valenza solo di riflesso al protagonista: elementi di contorno oascurati dai desideri di Don Giovanni, prima donna come “il poeta della carne”, l’Überumano.

Il prodigioso amatore nella rivisitazione teatrale di Patrick Marber rende satura la scena fino ad inglobare anche lo spazio destinato agli altri personaggi della sua storia. Imponente e totalizzante, afferma la sua (a)moralità al punto che spazza via i pochi barlumi coscienziosi avanzati dagli altri personaggi, seppur con poca convinzione.

Una libertà sfacciatamente perversa faccia a faccia con la Morte

A poco o nulla serve il discorso moralistico a conclusione dello spettacolo: non fa a tempo ad arrivare allo spettatore che è di nuovo catapultato in questo cabaret di sentimenti inesistenti. Forse quello che può spiazzare e alterare è proprio il fatto che lui sia così. Totalmente irresponsabile, sincero nella sua spietatezza, intriso di superficialità, nichilismo e corruzione morale. “Don Juan in Soho” di Patrick Marber si concentra tanto su questo aspetto che sembra far impersonare al suo protagonista quasi il diavolo per eccellenza, colui che gode di quanto più sporco, corrotto e meschino possa esserci al mondo.

Almeno fino al momento in cui non entra in scena la Morte -già in precedenza annunciata- che lo ammonisce e segna definitivamente il suo destino. Don Giovanni finge di redimersi. Si fa beffa della Morte e, ipnotizzato dall’ebbrezza della caducità, si abbandona al suo destino. 

«Io scelgo di non credere in te.»

Gli autori dello spettacolo sollevano allo spettatore una domanda. Fino a che punto può spingersi la libertà personale nel ledere quella altrui? Don Giovanni non se lo chiede, nè forse gli interessa capirlo. Si lascia morire per non sacrificare la sua libertà e lascia la questione totalmente aperta e totalmente a carico dello spettatore.

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