La Classe – Ritratto di uno di noi. Intelligenza collettiva a teatro

La Classe - Ritratto di uno di noi
ph. Emanuela Gasparri

“La Classe – Ritratto di uno di noi”, questo il nome del lavoro di Francesco Ferrara andato in scena il 15 ottobre al Teatro Bellini di Napoli per la regia di Gabriele Russo. Un’operazione che parte da lontano, da un progetto di ampio respiro qual è la Bellini Teatro Factory, percorso triennale gratuito per aspiranti attori, drammaturghi e registi. E allora perché non dare spazio alla sceneggiatura di un allievo talentuoso (Francesco Ferrara) coadiuvato dall’esperienza alla regia di Gabriele Russo?

“La Classe – Ritratto di uno di noi” è un lavoro corale, di un collettivo di 14 artisti che si mostra al pubblico come un mosaico. Proprio il mosaico è la forma d’arte più vicina a descrivere questo lavoro. Possiamo apprezzare l’opera come si mostra a noi nella sua splendente totalità, ma possiamo soffermarci anche sulla maestria di cesellatura dei singoli tasselli.

Un’introduzione d’obbligo

I messaggi che ci rimandano i ragazzi sono molteplici. Il gruppo vince sempre. Il ritmo sul palco è fondamentale. La solidarietà, la complicità, l’affiatamento tra colleghi è la base del lavoro attoriale. Non bisogna aver paura di prodursi in clichés (come ad esempio in quest’elenco), a volte sono necessari, l’importante è saperli adoperare con il giusto equilibrio tra drammatico e ironico, spessore e leggerezza, profondità e azione.

Visionare spettacoli costringe molto spesso chi si occupa di critica ad abbandonare le proprie certezze sul teatro e sulla messinscena in generale per poter accogliere punti di vista nuovi, magari sorprendersi positivamente e rinegoziare le proprie idee. Molte volte però si è costretti a concludere che quelle proposte erano fallimentari, e il lavoro di rinnovamento su se stesi diventa deludente, improduttivo, mortificante. Si riaccendono le luci in platea, ma resta solo il buio dentro.

Questo discorso non vale minimamente per questo spettacolo, perciò ho sentito doverosa questa introduzione. In parole povere “La Classe – Ritratto di uno di noi” è un’esperienza da vivere. Lo spettacolo è attualmente in scena al Teatro Bellini di Napoli, ma prima ancora era già stato selezionato per il Napoli Teatro Festival e già rappresentato al Grassi. Insomma, quella che si vive a Napoli è la risultante non solo di un lavoro fatto in provetta, in laboratorio, in un’accademia e basta, ma già rodato ampiamente sul palco. Per questo non meraviglia che gli attori, tutti di giovane età, padroneggino con tanta naturalezza lo stage di un teatro gremito e comunque mastodontico in tutta la sua storia e bellezza.

La strage di Anders Behring Breivik

Ma dirigiamoci al tema dell’opera. Il lavoro è incentrato sulla vita di Anders Behring Breivik, un giovane norvegese che per contrastare il partito laburista e la deriva della cultura norvegese a favore di quella musulmana, il 22 luglio 2011 compì una strage ad Oslo. Breivik mise in pratica due attentati, uno di natura prettamente esplosiva, piazzando un’autobomba nel cuore governativo della capitale norvegese di fronte al palazzo che ospitava il primo ministro.

L’altro consistente in una sparatoria sull’isola di Utøya, dove tolse la vita a 77 persone, tutti ragazzi che partecipavano a un convegno laburista e ne ferì oltre 100. Il totale delle vittime di questo attentato è un numero spropositato di morti e feriti se si considera che a realizzarlo è stata una sola persona. In una democrazia di primo livello, quale quella norvegese, la strage di Breivik è ancora considerata l’atto più violento mai avvenuto in Norvegia dalla fine della seconda guerra mondiale.

‘La Classe – Ritratto di uno di noi’ di Francesco Ferrara

Francesco Ferrara e Gabriele Russo decidono di portarci all’interno del gruppo di attori che vuole mettere in scena la vita di Breivik, all’interno della classe di studio. L’idea laboratoriale per la messinscena è intelligente. Non si tende a snaturare i ragazzi, li si porta in scena con abiti “comodi”, perché, dovendo rappresentare se stessi, si assecondano le velleità di ciascuno facendo emergere in modo più naturale la propria bravura.

L’occhio di scena è puntato sia sul gruppo, sia sui singoli. Infatti con questo espediente è come utilizzare un enorme Jimmy, cioè un enorme braccio meccanico per telecamere da stadio, che si allontana per darci il totale della situazione e si avvicina improvvisamente per inquadrare un singolo soggetto che sta compiendo una prodezza balistica. E qui torniamo all’idea del mosaico e del singolo tassello. Un’idea che ci rammenta quanto bravi siano stati l’autore e il regista a dare spazio sia al gruppo sia ai singoli artisti che lo compongono.

I virtuosismi tecnici messi in scena

L’orecchio è puntato sulle voci dei ragazzi che si alternano, si confondono, si sovrappongono per prendere la parola – denotando un ottimo lavoro corale per creare un caos ordinato e privo di sbavature -, mentre si interrogano su quale aspetto evidenziare della faccenda. La penna, scrive, riscrive e cancella il copione che gioca ad essere “iperdefinito” o a sembrare un canovaccio, a seconda che si voglia condurre lo spettatore verso una riflessione ben precisa o una divagazione. L’evidenziatore di volta in volta ci sottolinea un personaggio coinvolto nell’attentato da prendere in considerazione, sia esso Breivik, la madre, le madri delle vittime o gli stessi ragazzi coinvolti. Soprattutto in quest’ultimo caso il livello di immedesimazione degli attori è massimo.

La sceneggiatura e la regia aprono la mente allo spettatore. Prima mettono in scena l’attentato da uno specifico punto di vista, e poi riflettono sulla conseguenza che si ottiene sottolineando un aspetto piuttosto che un altro. Tendenzialmente qui si apre lo spiraglio ad una riflessione di più ampio respiro sulla differenza tra teatro e televisione “telegiornalistica”. La televisione fatta di flash news viene a soccombere, data la capacità di una telecamera di potersi focalizzare su un aspetto per volta tagliando la totalità della riflessione sulla faccenda, e data la velocità con cui le notizie rimbalzano senza lasciare al pubblico l’opportunità di farsi un’idea personale.

‘La Classe – Ritratto di uno di noi’. La chiave già nel titolo

Il titolo completo “La Classe – Ritratto di uno di noi” rende perciò tutto il senso del lavoro dei ragazzi. È scontato dissociarsi dalla strage di Breivik. E se invece l’attentatore fosse uno di noi? O se fossimo noi stessi con le nostre idee xenofobe e le nostre certezze nazionalistiche a fornire carburante all’auto che poi esploderà davanti al palazzo governativo? Se quelle idee fossero i singoli proiettili che saranno esplosi dal fucile di Breivik? Allora la faccenda cambierebbe totalmente, a quel punto avrebbe senso la sentenza del tribunale norvegese di considerare Anders come sano di mente. E, seppur in un momento di forte dolore, la Norvegia traccerebbe ancora nuove linee guida di insegnamento alle altre democrazie.

Anders Behring Breivik ha dichiarato odio verso la comunità musulmana, eppure ha colpito la sua di comunità perché «quando una conduttura del bagno perde bisogna andare alla fonte della perdita.» L’odio razziale, il pressapochismo di paese, la grettezza mentale, la scarsa circolazione di idee inclusiviste e la poca predisposizione al confronto, unite ad una politica xenofoba, che mira a creare un nemico comune pur di non sforzarsi a trovare la formula del solvente utile a lavare i panni sporchi in casa, potrebbero essere alcune delle fonti della perdita di valori e dell’aumento sconsiderato di violenza della nostra società.

Gli attori

I ragazzi ci lasciano con tanti interrogativi, questi artisti hanno dei nomi. Loro sono Andrea Liotti, Arianna Sorrentino, Chiara Celotto, Claudia D’Avanzo, Eleonora Longobardi, Luigi Adimari, Luigi Leone, Manuel Severino, Maria Francesca Duilio, Michele Ferrantino, Rosita Chiodero, Salvatore Cutrì, Salvatore Nicolella, Simone Mazzella. Ad ognuno di loro va il nostro applauso. Tutti si sono integrati perfettamente, non si notava la differenza tra chi aveva già esperienza di palco e chi ne aveva masticato meno. Sono stati tristi, drammatici, divertenti, spassosi, comici, sono stati smart a dirla tutta, dal momento che i ritmi erano intensi e anche un adolescente abituato alle serie televisive online non si sarebbe annoiato per nulla.

Sono stati empatici oltre che simpatici, antipatici quando il testo lo richiedeva, ma anche sfacciati e, per dare un senso di realtà, distratti. Questo aspetto è stato il più amabile di tutti. Per rendere realistica la messinscena di un gruppo che prova uno spettacolo, di tanto in tanto si notava qualche attore distrarsi dai compagni. Ed ecco la magia della controscena, quella fatta ad arte, quella che non stona, non ruba la scena ad altri, tuttalpiù ci anticipa che la storia sta per voltare pagina.

Ulteriori chicche sono stati lo slow-motion, il rewind, il block, le imitazioni, il tornare indietro e ripetere da capo dicendo «questa battuta è stata tagliata», il far finta di non conoscere le battute e avere dei suggeritori. Il gioco dei clichés è stato molto interessante, la trovata tipicamente partenopea di passare per un momento stereotipato e poi dissociarsene prendersi in giro da soli, a volte diventare melodrammatici addirittura o troppo scanzonati.

La cultura è l’unica strada

Certo sono alcuni peccati di gola a cui nessuno avrebbe detto di no nel mettere in scena un lavoro così bello, così vivo e fresco nella sua interpretazione sentita da tutti gli elementi in scena. Qualche ipercritico potrebbe storcere il naso, potrebbe non trovarci troppe novità, ma in “La Classe – Ritratto di uno di noi” il vecchio e il nuovo, il déjà-vu e il mai visto si alternavano con pari dignità sul palco e rendevano lo spettacolo totalmente gradevole.

Breivik è stato condannato per 21 anni di carcere, sono circa 3 mesi per ogni vittima, in 3 anni il Bellini Factory ha sfornato 14 talenti, uno sceneggiatore, ha riconfermato la solidità della proposta di Gabriele Russo e ci ha fatto conoscere l’aiuto regia Salvatore Scotto D’Apollonia. Se per ogni attentato, se per ogni fallimento della società, si rispondesse con una realtà solida come questa, la democrazia avrebbe già vinto o comunque sarebbe sicura di intraprendere la strada giusta, fatta di confronto, di cultura, di professionalità, ma soprattutto di relazionalità, interscambio comunicazione vera. Questa realtà è nata a Napoli, e c’è solo da andarne fieri.

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