Al Teatro Mercadante di Napoli è andata in scena “La Tempesta” di William Shakespeare nella traduzione di Gianni Garrera, con Eros Pagni e Gaia Aprea, per la regia di Luca De Fusco.
“La tempesta” di Luca De Fusco. Un teatro in 4D
All’apertura del sipario, immersi nell’enorme biblioteca che fa da scenografia, si capisce subito di stare entrando in un mondo magico. Più in là si avrà il senso del significato più profondo della parola iper-reale.
Nei testi di saggistica teatrale si legge spesso la considerazione che il teatro possa diventare una realtà aumentata. Questo potenziale del trilatero che ci troviamo di fronte stando in platea non sempre è così sfruttato. Nella rappresentazione di Luca De Fusco invece si utilizzano tutti i mezzi mediatici a disposizione per rompere la tridimensionalità della scena. I libri prendono vita, le parole divengono forme, le forme prendono voce, le luci ombre, le ombre sogni, i sogni verità. E quando si riaccendono le luci di sala resta un profumo dolce nell’animo che porta in sé un magnetismo enorme, quello che invoglia a rimanere lì, tra i velluti rossi delle poltrone, tra il cielo buio e immaginifico della scena, cullati tra le onde del sipario, perché non si vuol tornare più sulla terra ferma.
Dietro le quinte, attraverso la scena
Le maestranze sono la chiave di questo efficace risultato. È grazie al capomacchinista Nunzio Opera e al macchinista Giuliano Barra se gli ingranaggi funzionano alla perfezione. Grazie al disegno di luci Gigi Saccomandi e al datore luci Ciro Petrillo se le ombre evocano fantasmi. Grazie alle installazioni video di Alessandro Papa se in scena balla una sola artista, ma noi ne vediamo quattro. Le scene e i costumi, che cambiano forma a seconda delle epoche da cui i personaggi provengono, sono di Marta Crisolini Malatesta. L’armonia del totale è coordinata dai direttori di scena Teresa Cibelli e Alessandro Amatucci. Sono solo alcuni nomi, ma per comprendere la portata di questa operazione teatrale bisogna andare prima dietro alle quinte, poi passarvi attraverso e in fine arrivare sulla scena.
Il plot è un omaggio a uno speciale visionario neo-novantenne
L’idea di fondo che ha mosso “La tempesta” di William Shakespeare è stata quella di utilizzare un Prospero deus ex machina sui generis. Un intellettuale agorafobico immerso in un mare di libri incastonati in una biblioteca mediatica e magica. Prospero è interpretato dal grande Eros Pagni, a lui viene affidato un compito doppiamente grave dal momento che parliamo del protagonista dell’opera summa di William Shakespeare e anche di un uomo molto importante per il regista.
Già, infatti, Luca De Fusco ammette di essersi accorto solo dopo avergli dato vita, che il suo Prospero somigliasse tantissimo a suo papà Renato De Fusco, storico dell’architettura che, «dal chiuso della sua biblioteca, ha raccontato di edifici in gran parte dei quali non è mai stato ma che ha avuto la capacità visionaria di immaginare.» Un’idea che aleggia anche nel saggio “Shakespeare. Il teatro dell’invidia” di René Girard – come sottolinea Fabrizio Coscia de il “Mattino” – alla quale Luca De Fusco sembra aderire sicuramente nell’ipotesi che vede il protagonista dell’opera come un autore – magari proprio un regista – che racchiude i personaggi tutti nella sua mente, dalla quale riemergono o vengono sommersi proprio come in un fantastico sogno.
“La tempesta” di Luca De Fusco. Mostrami come entri e ti dirò chi sei
Gli ingressi in scena sono un altro momento speciale di questo spettacolo. Una vera e propria chicca. La scenografia si muove come un carillon, al suo interno compaiono di volta in volta gli attori. Ogni tanto c’è un elemento strutturale che sobbalza per creare un ingresso ad effetto. Altrimenti ci si affida ad un nastro trasportatore che incede a passo lento, ma deciso, come tutto lo scorrere dell’opera, che ha una traiettoria ben delineata nella fantastica mente di Prospero.
Dal nastro in stile Beckettianocompaiono Alonso re di Napoli (Carlo Sciaccaluga) Adriano (Francesco Scolaro) Antonio (un Paolo Serra in splendida forma) Gonzalo (Enzo Turrin) Francisco (Alessandro Balletta) Sebastiano (Paolo Cresta). Sono i sei nemici temporanei di Prospero, le loro vicissitudini vengono manovrate dallo stesso, un autore che scrivendo l’opera si vendica dei suoi nemici per poi sublimare il tutto in un catartico perdono finale. Il sestetto è bello da vedere e la bravura degli attori sta nel riuscire a divenire un unico corpo ma dalle fattezze ben delineate. Le singole identità non si perdono mai di vista sul palco, nonostante la compresenza coreografica li veda spesso protagonisti.
Il teatro da contaminare ma non inquinare
Svariati sono i personaggi che si muovono ne “La tempesta” di Luca De Fusco sulle musiche originali di Ran Bagno, cantano sugli adattamenti vocali di Ciro Cascino, eseguono i movimenti coreografici di Emio Greco e Pieter C. Scholten. Il tutto senza tradire la matrice di base: la recitazione. Nulla ne “La tempesta” di Luca De Fusco si discosta da questo parametro: tutto accade, tutte le discipline sono lambite, ma di base il lavoro ha una natura nettamente e squisitamente teatrale.
Miranda (Silvia Biancalana) e Ferdinando (Gianluca Musiu), figlio del re di Napoli, sono incantati dalla freccia di Ariel (Gaia Aprea) lanciata da Prospero. I loro personaggi son per alcuni versi speculari, figli diversi di una stessa medaglia e a suggellare il loro amore sarà Giunone, una maestosa Marilyn incarnata da Alessandra Pacifico Griffini. A condire di ironia partenopea il duetto Trinculo (Alfonso Postiglione) e Stefano (Gennaro Di Biase) accompagnati da un diabolico, ma non troppo, Calibano interpretato ancora da Gaia Aprea.
Per saper esser donna devi saper essere uomo e viceversa
Gaia è stata un’abile illusionista, interpretando Ariel e Calibano come “Jekyll e Hyde“. Ha contribuito a dare un tocco di eleganza a tutta l’opera, sia nei panni di benefattore sia in quelli di cospiratore. Solo una donna poteva avere una tale abilità in due personaggi maschili. Soprattutto ci ha riportato ai tempi in cui il genere sessuale degli interpreti sul palco non era scontato. L’eleganza è stato veramente un altro nastro trainante di tutto lo spettacolo e non mi riferisco soltanto agli appropriati costumi di scena, ma al buon gusto che ha pervaso tutta “La tempesta.”
L’eleganza dei gesti affettati, della recitazione secca ed evocativa, del Deus ex machina supra omnes et intra omnes di Eros Pagni era sicuramente attesa, non è stata mai banale. Eros con l’abilità, la padronanza di palco e l’intelligenza nel saper mescolare e rimescolare il copione, la dizione, la proprietà di linguaggio con cui è riuscito a far fronte a tutto il percorso narrativo, è stato un abile condottiero di una scuola pari solo a quella di Gassman. Una scuola che commetteremmo peccato a definire vecchia, perché sempre attuale nei suoi canoni eterni di recitazione, e le cui pause continuano ad affascinare e avvolgere lo spettatore di magia.
Quando ha pronunciato la fatidica: «siamo fatti della stessa materia di cui son fatti i sogni» con l’equilibrio di chi non trema di fronte a un capolavoro, lo ha fatto con scioltezza, come se dalle sue corde vocali sgorgasse il finale naturale dell’opera, la sua conclusione ultima. Accorato infine il suo appello alla clemenza del pubblico, in puro stile Sheakspeariano, ha trascinato i presenti in un applauso che ha suggellato l’incontro del pubblico con Luca De Fusco, Gianni Garrera, cast e staff. Non solo, ha segnato il ritorno di una “Tempesta” in una versione che, con rispetto dei suoi predecessori e buon auspicio per quelle che verranno, ha dato un senso alla storia del teatro italiano.
Luca De Fusco
Luca De Fusco prende il microfono a fine spettacolo con voce commossa per tracciare un confine con parole semplici, dirette, lineari.
«Ce ne andiamo perché questo è un mestiere di girovaghi, però non spezziamo la nostra bacchetta continueremo a fare magie e spero di farle insieme a voi.»
A una prima lettura possono non sembrare parole eccessivamente dense di significato. In realtà lo sono tanto. Luca De Fusco ha diretto il Teatro Stabile negli ultimi otto anni e adesso lascia il passante. Gli si può tributare di essere stato un abile timoniere e di aver attraversato una tempesta che non ha scalfito il veliero, anzi l’ha tirato a nuovo. Era doveroso questo grazie da tutti coloro che credono nel teatro come foriero di libertà, cultura, magia e sogno.
Grande Luca Pinto !