Massimo Ranieri incontra Sepe sulle ali del Gabbiano di Cechov

Il Gabbiano con Massimo Troisi e la regia di Giancarlo Sepe

Massimo Ranieri ha portato in scena al teatro Diana di Napoli, la prima de “Il Gabbiano (à ma mère)”. Lo spettacolo, tratto dal dramma di Anton Čechov, è frutto dell’adattamento e della regia di Giancarlo SepeSul noto cantante e attore teatrale c’è poco da dire. Ha calcato il palco con un’interpretazione di una straordinaria intensità, di un grado di verità pari al reale, al quale l’artista ci ha ormai abituati.

L’incontro tra Giancarlo Sepe e Massimo Ranieri

Mi piace sottolineare l’abilità stilistica di questo regista che nella sua carriera ha interagito con attori del calibro di Romolo Valli e Mariangela Melato, ha avuto a che fare con la Guerritore, Ottavia Piccolo, Paolo Ferrari e Milva. Giancarlo Sepe è stato bravo soprattutto a non privare Massimo Ranieri del suo habitat naturale: la musica. Anzi a far sì che la musica facesse da trait d’union tra gli episodi de “Il Gabbiano” di Anton Čechov, facendo dimenticare allo spettatore che la messinscena originaria non era stata concepita per essere anche cantata.

Ovviamente Massimo Ranieri ha fatto chapeau ricordando di non essere semplicemente un cantante prestato al teatro, ma un cantante e un attore insieme e prima di tutto un artista, capace di mettere in primo piano le emozioni. Ha creato quella magia tra interprete e pubblico che fa dimenticare dove finisce la prosa e inizia la canzone o se a volte è la prima ad inseguire la seconda.  

“Il Gabbiano” tratta la storia di Konstantin Treplev – Francesco Jacopo Provenzano -, un giovane drammaturgo incompreso, amato da Maša – Martina Grilli -. Eppure l’artista è innamorato a sua volta di Nina – Federica Stefanelli-. È centrale il rapporto di odio e amore che lo lega alla madre Irina – Caterina Vertova –una famosa attrice, e quello con l’amante di lei, lo scrittore Boris Trigòrin – Pino Tufillaro -, causa del definitivo sconvolgimento degli equilibri tra i personaggi.

L’impressione guardando “Il Gabbiano” di Sepe è che nulla sia lasciato al caso

Tutto questo sarebbe già un grande incentivo a sognare di rivivere nel mondo di Anton Čechov però staremmo trascurando un altro particolare: l’interpretazione magistrale di Caterina Vertova. Nei panni di Irina Arcàdina, colpisce la sua bravura nell’utilizzo della gestualità, al quale Giancarlo Sepe ci ha abituati, ancor più che in quello della voce, seppure importantissimo. Del resto è suo il personaggio della Madre di Kostja e lei onora brillantemente quella dedica (à ma mère) presente nel titolo.

La pièce originaria di Anton Čechov tratta già di scrittori, attori, drammi esistenziali, rapporto madre-figlio e riferimenti all’Amleto. Giancarlo Sepe scompone e ricompone il testo. Lo utilizza come un canovaccio per fornire spunti di riflessione allo spettatore e universalizzando le tematiche di Čechov per affrancarle dal mondo del teatro. Come un abile fotografo, fornisce il proprio taglio della realtà, senza mai interrompere la trama tessuta da Čechov. Inserisce dei ricami musicali, che appaiono come cicatrici d’oro di vasi giapponesi e che snelliscono abilmente il ritmo dello spettacolo.

La selezione musicale è coinvolgente. Riporta all’epoca di Edith Piaf, fa assaporare i violini gipsy di Romica Puceanu e ritorna al mai tramontato Charles Aznavour, al quale Ranieri con un gesto d’amore lascia cantare “Hier Ancor” senza proferire parola.

Uno sguardo da vicino al cast con Caterina Vertova

Una riflessione interessante emerge dall’interpretazione di Pino Tufillaro, al quale è stato affidato saggiamente il personaggio dello scrittore Boris Trigòrin. Seppure Čechov lascia il ruolo di protagonista a Kostja, lui stesso si rivedeva molto in Trigòrin. Lo scrittore ossessionato dalla produzione seriale di racconti narrativi raccoglie qualsiasi dettaglio della realtà per memorizzarlo e riutilizzarlo in secondo momento. Il dramma di Trigòrin però non è solo la sua maniacalità… ma questo va scoperto vedendo lo spettacolo di persona.

Passando agli attori più giovani, è facile notare anche a un non addetto ai lavori che la loro età anagrafica non li fa per niente sfigurare. Non solo reggono la scena degli attori più esperti, ma hanno una disinvoltura sul palco, una prontezza, e un’abilità interpretativa che fanno venir voglia di rivedere lo spettacolo una seconda volta. Francesco Jacopo Provenzano, Federica Stefanelli e Martina Grilli sviluppano movimenti scenici, interazioni dinamiche e partecipative con il resto del cast. Mostrano di non avvertire la responsabilità e il peso di esibirsi con gli artisti già affermati come Caterina Vertova.

Uno spettacolo tutto da vivere

Alla prima rappresentazione a Napoli nella sempre splendida cornice del teatro Diana, in platea erano presenti anche il musicista Enzo Avitabile e lo storico della musica Pasquale Scialò. Una menzione particolare oltre che per l’allestimento scenico imponente, secondo tutta la critica, va al disegno luci di Maurizio Fabretti. Ha giocato con uno stile minimalista ma efficacissimo e funzionale allo spettacolo, in una sorta di bianco e nero in cui le ombre evocano ancor di più dei colori. Altri elementi apprezzatissimi della messa in scena sono stati i sopratitoli italiani alle canzoni francesi, la mirabile interpretazione della canzone “Je suis malade” con riferimenti ad hoc al “gabbiano morto”. Ma anche i violini gipsy e le particolari atmosfere musicali e i toccanti dialoghi a “tre” tra Caterina Vertova e Provenzano.

Invece per scoprire quale ruolo è stato affidato a Massimo Ranieri nello spettacolo, vi rimando a teatro, un motivo in più per assistere a questo bellissimo spettacolo.

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