“Paper Cut” di Yael Rasooly. Il teatro noir e surreale

Paper cut di Yael Rasooly

Dopo 10 anni sulle scene di tutto il mondo e vincitore di numerosi premi internazionali, approda  al Teatro Gerolamo di Milano per la prima nazionale e per la prima volta in italiano “Paper Cut” di Yael Rasooly. Racconto surreale e nonsense che racchiude un pot-pourri di bravura: recitazione, teatro di figura, canto, teatro d’oggetti, fantasia inesauribile e senso dell’umorismo straordinario.

“Paper cut” di Yael Rasooly. Il sogno anima burattini di carta

“Paper Cut” è la storia semplice di una segretaria ligia al dovere e palesemente senza una vita privata. Rimasta volente o nolente da sola in ufficio con un preciso incarico da svolgere per la mattina successiva, si ritrova invece a fantasticare sul suo celato amore per il capoufficio. A questo punto lo spettacolo si trasforma. Da semplice monologo diventa teatro d’oggetti. La segretaria diventa una burattinaia di marionette di ritagli. La scrivania, su cui si trovano i tipici oggetti di segreteria, telefono, lampada, interfono, matite, ecc., perde la sua funzione standard per divenire un simil castelletto tipico del teatro dei burattini.

E la realtà lascia il posto alla più romantica fantasia, in cui lei, lui e l’altra – tutti rigorosamente ritagli di giornale – si avvicendano come divi degli anni ’40. Nel sogno a occhi aperti della segretaria si intesse la trama di una storia d’amore con sfumature noir. Gli ingredienti ci sono tutti: amore, suspense, assassinio, colpi di scena. I riferimenti a “Rebecca, la prima moglie” di Alfred Hitchcock del 1940 sono palesi seppur rimaneggiati.

Questo gioco di ruolo improvvisato allontana la segretaria dal suo dovere a tal punto che il giorno seguente l’epilogo può essere uno solo. She is fired.

Uno spettacolo multilingue e interattivo

La struttura particolarmente raccolta del teatro si presta all’instaurazione di un’intima complicità tra l’attrice e il pubblico. La scena, così vicina alla platea e ai palchi, diventa l’ufficio accanto, a due passi, palpabile e reale. Lo spettacolo non inizia nel modo classico che ci si aspetterebbe. Non c’è sipario. Non c’è proscenio. C’è lei, Yael Rasooly, dietro alla scrivania alla ribalta che, in attesa dell’ora X, interagisce in inglese con il pubblico che man mano si sistema al proprio posto.

“Paper Cut” prende il via così, di comune accordo con gli spettatori. Si decide insieme in che lingua deve essere rappresentato. Italiano, ovviamente. Per sua stessa ammissione e confessione, le battute sono scritte ovunque, a seconda di quello che le passa tra le mani.  Ma l’inglese si spreca e torna spesso. Soprattutto dal fuori scena. Niente di incomprensibile anche per chi magari non mastica la lingua. O le lingue. Sì perché, in un passaggio l’attrice dà sfoggio del suo plurilinguismo sciorinando frasi e riferimenti canori in francese, italiano, tedesco, egiziano.

Questo rapporto diretto col pubblico è proprio il fil rouge che lega tutto lo spettacolo. L’atto unico da godersi tutto d’un fiato, viene a tratti interrotto dall’attrice quando deve parlare col pubblico o coinvolgerlo direttamente nello svolgimento. Il tutto strappa risate e applausi più che meritati e fa sentire lo spettatore quasi un addetto ai lavori, se non proprio un attore.

Ritmo geniale, folle e divertente

Quando il mondo burattinesco si impossessa dello spettacolo, il pubblico rimane spiazzato anche se divertito. E allora la mente corre alla ricerca di collegamenti e ricordi che possano rendere credibile o quanto meno ammirabile una decisione teatrale di questo genere. Il primo pensiero risale fino all’infanzia o alla età fanciullesca. Già, quando magari da soli improvvisavamo scenette inventate con personaggi di fantasia ritagliati da riviste o giornali. L’età in cui basta un nulla per dar libero sfogo alla fantasia più candida e divertente.

Ma poi all’improvviso un flash. Fratelli Coen. Ecco a cosa fa pensare il susseguirsi nonsense dello spettacolo. Sembra di vedere a teatro un film dei fratelli Coen. Stessa divertente e geniale follia. E basta. Non si può far altro che aspettare e vedere che cosa accadrà e come accadrà.

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