“Racconti Disumani” di Alessandro Gassmann. Una scimmia e una tana per raccontare il disagio dei nostri tempi
“Racconti disumani” di Alessandro Gassmann porta in scena al Teatro Stabile dell’Abruzzo due racconti di Franz Kafka: “Una relazione per un’Accademia” (1917) e “La tana” (1931). Lo spazio raccolto nella sala del ridotto si unisce all’affiatamento tra il regista e l’unico attore sul palco, Giorgio Pasotti, per generare un comune senso di accoglienza e calore. Magie che solo il teatro riesce a creare.
Il palco esprime al meglio la divisione in due parti dello spettacolo con l’uso di una scenografia semplice, ma d’effetto. Il passaggio da una storia kafkiana all’altra viene segnato dall’apparizione dei rispettivi titoli.
Leggi anche: “Lettera al padre” di Kafka. L’inadeguatezza di vivere
“Una relazione per un’Accademia” di Kafka. La potenza di un velo
Nel primo monologo, una seduta alta e chiara spicca nell’oscurità. L’intera resa gioca sul contrastro tra luce e buio, pensiero e carnalità, e così anche gli elementi in scena e lo stesso attore che si sdoppia tra il sè illuminato e la sua ombra proiettata sullo sfondo. L’attenzione viene catturata dall’eloquente dettaglio del velo, parte integrante del dialogo in scena.
La sua presenza favorisce un ulteriore gioco di luci e ombre, che riflette e acuisce i movimenti animaleschi di Giorgio Pasotti, ma sembra anche accordarsi con il messaggio dell’opera kafkiana. “Una relazione per un’Accademia” riflette sulla facilità con cui esseri umani -altro non sono che scimmie ammaestrate- riescono a omologarsi e a confondersi tra loro. Il tormento della scimmia addomesticata emerge nei versi naturali che di tanto in tanto si lascia scappare, quando rimpiange la propria identità, ormai perduta. Proprio questa gestualità, che si tramuta in atteggiamenti stereotipati è il velo che separa gli esseri viventi, impedendo una conoscenza reciproca reale.
“La tana” di Kafka. Di la solitudine e paura
Anche nel secondo racconto disumano, “La tana”, il protagonista è un animale, un roditore che progetta e scava la propria dimora. Nient’altro che una serie di buche profonde e cunicoli sotterranei, una costruzione labirintica per salvarlo dalle minacce del mondo esterno e confondere gli eventuali intrusi. L’agitazione ossessiva del roditore si traduce in un dialetto del settentrione italiano, chiuso e teso, e in discorsi nevrotici e veloci, ora rivolti al pubblico ora a sé stesso.
Tutta l’inquietudine del suo isolamento volontario e la paura dell’ignoto sono ben espresse anche dall’inserimento scenografico di un telo ben illuminato con gli ingressi delle tane nel terreno, dalle quali spunta di tanto in tanto il protagonista. Le luci puntano sulla buca da cui di volta in volta esce il roditore, in una una corsa estenuante da una parte all’altra della tana. Gli occhi schizzano, cercando di inseguire le luci, il movimento, i cunicoli e si perdono in una sensazione di ansia e affanno, insieme al roditore.
Le musiche seguono e amplificano i significati dei racconti disumani
Ma non solo la scenografia e l’impatto visivo nei “Racconti disumani” di Alessandro Gassmann colpiscono per la portata simbolica. Anche le musiche di Pivio e Aldo De Scalzi stimolano l’attenzione e scandiscono l’andamento delle storie. La loro presenza è ancor più sentita nei passaggi chiave di entrambi i monologhi.
In “Una relazione per un’Accademia” i suoni seguono l’evoluzione, le scoperte e ricadute della scimmia ammaestrata. Perdendosi nei ricordi della sua vita in cattività si lascia trasportare in un ricordo al passato, ne riprende per un attimo la gestualità e la ferinità. La sua anima animalesca risuona e si espande in musicalità sanguigne, carnali e irruente. Ma quando in un lampo di evoluzione il suono diventa prima parola di senso compiuto, è una conquista. L’ascesa ad un stato diverso, potenzialmente più consapevole, esplode in un trionfo di toni alti dal forte impatto.
Invece nella “Tana” l’ansia e la paura, la preoccupazione del roditore diventa dello spettatore, quando ci si trova lì, in silenzio, a tendere le orecchie per afferrare un indizio soffuso, lontano, di una possibile minaccia esterna. Piccole incursioni sonore che danno leggeri input, perchè il pericolo è imminente ma non si preannuncia, vuole cogliere di sorpresa.
I “Racconti Disumani” di Alessandro Gassmann collegano Franz Kafka all’attualità
I due “Racconti Disumani” di Kafka sono piuttosto intensi e, come di prassi nella produzione dello scrittore boemo, trasmettono i disagi, le oppressioni e le inquietudini dell’esser vivi. In tal senso, l’attore protagonista si mostra in tutta la sua versatilità per dare una voce e un’impronta decisa ai due diversi personaggi.
I due racconti kafkiani sono ancora moderni. La perdita dell’identità e la paura del mondo esterno sono visti come elementi di disumanizzazione e -tra dinamiche di divisione sociale, minacce alla salute e attentati alla pace- estremamente attuali. Ciò concorre ad una piena immedesimazione nello spettacolo che, con la scelta di Gassmann, riesce a dare voce alle inqueitudini di questo momento storico.
La versione teatrale è poi ancora più d’effetto e stimolante. Certamente la presenza di un attore solo sulla scena gioca a favore di un’intimità maggiore. Così anche la pulizia dei suoni, delle luci e della scena evitano distrazioni inutili e orpelli vacui che a nulla servirebbero, in favore di un’emotività che corre dritta verso lo spettatore.
Leggi anche: La “Tosca” di Puccini. Opera tragica intimamente epica




