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Tenet di Christopher Nolan. Spy movie sull’inversione del tempo

By Fatima Fasano
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"Tenet" di Christopher Nolan

“Tenet” di Christopher Nolan è uno spy movie a cui si uniscono la fantascienza e le caratteristiche peculiari del geniale regista. Dopo un lungo periodo di fermo, il nuovo lungometraggio del cineasta inglese è l’opera perfetta per un grande rientro nelle sale. Sin dalle prime scene, infatti, lo spettatore viene spinto nell’azione ed entra a far parte della storia. Nella sala è possibile sentire l’intensità della pellicola che regala adrenalina e un forte coinvolgimento, grazie anche alla soundtrack di Ludwig Göransson. Anche questa volta, Nolan è riuscito a dare qualcosa di nuovo al suo pubblico e al cinema stesso. “Tenet” non è solo un nuovo film di spionaggio, ma è una vera e propria esperienza cinematografica che fa riavvicinare il pubblico al cinema d’azione.  

«La regola è occultare» 

Il tempo e la Terza Guerra Mondiale

«Salviamo il mondo da quello che poteva succedere» – Neil  

In “Tenet”, bisogna impedire la Terza Guerra Mondiale. È chiaro che Christopher Nolan ami James Bond e gli spy movie. Tuttavia, per non influenzare il suo lavoro, ha preferito non rivedere i film dell’agente 007. Voleva che in “Tenet” si sentisse il genere e le sensazioni che porta. Ma c’è qualcosa di più. Non si hanno soltanto scontri, azione, nemici sovietici e luoghi esotici – è stato girato in sette paesi, compresa l’Italia, con delle riprese ad Amalfi – come per i classici film di spionaggio. Qui, ancora una volta con Nolan l’elemento portante della pellicola è il tempo. Nel futuro è stata sviluppata una tecnologia in grado di invertire l’entropia degli oggetti, permettendo così di spostarsi all’indietro grazie all’inversione del flusso temporale. La trama si basa sulla fisica e, in particolare, sul secondo principio della termodinamica. 

Per il regista ogni sceneggiatura deve avere il proprio mondo e una propria logica da estendere al di fuori delle immagini che il pubblico vede. Già in Inception e Memento, ad esempio, si nota che Nolan non vuole infrangere le regole, ma crearne delle nuove per suscitare emozioni ed eccitamento. 

Il montaggio di Jennifer Lame alle prese con entropia e inversioni

Diversamente dalle pellicole precedenti, il montaggio non viene affidato a Lee Smith, ma a Jennifer Lame. Appare lineare, gli eventi si susseguono in ordine cronologico finché, però, non si entra nel vivo del film e se ne comprendono gli intrecci. Difatti sono mostrate scene già viste, ma da prospettive differenti. Ad esempio, la sequenza che vede il Protagonista (John David Washington) combattere con un uomo – che poi si rivelerà essere sé stesso -, inizialmente viene presentata dal suo punto di vista. Perciò, le azioni dell’altro uomo sono invertite. Quando la stessa scena viene ripresentata dalla prospettiva dell’altro, sarà il Protagonista a muoversi all’indietro. Ciò avviene perché il tempo e la sua inversione fanno sì che lo spettatore assista allo stesso momento, ma in due fasi diverse. Per qualcuno è già il passato, nel momento in cui avviene è il presente, ma per altri è il futuro in quanto deve ancora succedere.  

In “Tenet” di Christopher Nolan si parla di inversione, intrecci, entropia e posterità. A ogni azione corrisponde una reazione, ma per mezzo delle inversioni, causa ed effetto si intrecciano e non mantengono necessariamente l’ordine di consequenzialità. Pertanto durante le scene in auto è possibile vedere lo specchietto laterale con una crepa. Soltanto dopo subisce effettivamente la rottura che, essendo il moto in senso contrario, è in realtà una riparazione. È chiaro quindi che il passato influenza il futuro e viceversa. Tutto viene concatenato perciò è necessario che chi agisce, non sappia quello che già ha fatto per qualcuno. Neil (Robert Pattinson) lascia che il Protagonista si muova secondo un ordine preesistente ma da lui ancora sconosciuto: «L’ignoranza è la nostra arma».

“Tenet” di Christopher Nolan. Il significato del titolo nel quadrato magico

“Tenet” è una parola palindroma – leggibile in ogni lato – proprio come le scene del film. Viene dal Quadrato del Sator – un’iscrizione latina ritrovata in diverse parti d’Europa, compresa Pompei – che riporta la seguente iscrizione: SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS. Sator significa “seminatore” e per estensione “creatore”. Arepo è una parola piuttosto sconosciuta, che rende la frase enigmatica. Potrebbe indicare un nome proprio o le parole “carro” o “aratro”, qualcosa che fa riferimento all’agricoltura e alle terre. Tenet è un verbo traducibile come “guida” o “tiene”. Opera significa “le opere” o “con cura”, “con attenzione”. Rotas, invece, “le ruote”. Secondo una lettura lineare, quindi, la frase ha il seguente significato: “Il creatore della terra guida con cura le ruote”. In questo caso, si intendono le ruote celesti, quelle del destino. 
 
Attraverso una lettura bustrofedica – cambia direzione ad ogni rigo – la frase che si ottiene è: SATOR OPERA TENET AREPO ROTAS. Qui, il significato riporta ad un contenuto particolarmente profondo: “L’uomo/il seminatore decide le sue azioni quotidiane, ma Dio decide il suo destino”. Il parallelismo con Andrei Sator (Kenneth Branagh) è evidente. Sator, in effetti, può essere il seminatore. Ma chi è Dio? È il Protagonista, che è difatti capo di sé, o è il Tempo stesso? 

«Quello che posso darti è una parola: Tenet. Aprirà le porte giuste e anche alcune sbagliate.» – Victor 

Nel quadrato del Sator, inoltre, la parola TENET forma una croce. Se la si vuole leggere come un acronimo, si hanno diverse scomposizioni possibili. Tra queste: “Tota essentia numero est tracta”, ossia “L’intera essenza è ottenuta con il numero”. È un riferimento all’algoritmo? Chi lo possiede, possiede l’intero nucleo, l’intera natura? Ci sono diversi riferimenti nel lungometraggio, si ricordi che la prima scena avviene nel teatro dell’opera di Kiev.

La fotografia di Hoyte van Hoytema

Il film, girato su una pellicola da 70mm, ha un aspect ratio di 1:2,20. Le camere Panavision e IMAX seguono spesso i movimenti dei personaggi. Le inquadrature hanno dei piani variabili, in quanto in alcuni casi è importante la totalità della scena mentre in altri le espressioni e gli sguardi dei soggetti. 

«Viviamo in un mondo crepuscolare» 

Similmente alla pellicola precedente, Dunkirk, la fotografia di Hoyte van Hoytema presenta scene con diverse varietà di colori che si mantengono sempre vividi e in contrasto tra loro. Sia di giorno che di notte, tutto è reso ben visibile e l’intensità delle luci rimane realistica. Alcune sequenze sono caratterizzate da due colori in particolare: il rosso e il blu, i colori delle due squadre d’azione. Persino il logo della Warner Bros nei titoli di testa è rosso, mentre il blu colora il logo Syncopy. Si tratta dei colori delle pillole in “Matrix”. Come a Neo, scegliendo la pillola rossa, viene rivelata la realtà del mondo in cui si vive, così i personaggi di “Tenet” che sanno dell’inversione del tempo hanno una visione totale della realtà, ne conoscono i retroscena che non sono rivelati a chiunque. 

“Tenet” di Christopher Nolan. Cast e curiosità

Il Protagonista, John David Washington, è stato scelto da Nolan per la sua interpretazione in BlacKkKlansman di Spike Lee. Invece, pare che Elizabeth Debicki, nel ruolo di Kat Sator, sia stata proposta al cineasta da sua moglie e produttrice Emma Thomas per la sua performance in “Widows – Eredità criminale”.  Di conseguenza parte del personaggio è stato riscritto dallo sceneggiatore basandosi sull’attrice stessa, in quanto inizialmente la donna doveva essere più vecchia. Inoltre, Nolan ha offerto il ruolo di Neil a Robert Pattinson dopo averlo visto in “Civiltà Perduta”. A differenza di Michael Caine – che ormai ha sempre un ruolo, seppure minore, nelle pellicole del regista britannico – e di Kenneth Branagh – al secondo lavoro con Nolan, dopo Dunkirk – “Tenet” di Christopher Nolanè stato il primo ruolo Hollywoodiano per l’attrice indiana Dimple Kapadia che interpreta Priya. 

Gli attori si sono dovuti impegnare a fondo per le scene, imparando non solo le coreografie dei combattimenti, ma anche a parlare all’indietro. Per Sir Kenneth Branagh è stato ancora più complicato, poiché doveva mantenere un accento slavo anche nelle battute al contrario. È interessante sapere che il suono del respiro utilizzato nelle scene in cui è presente Sator, è in realtà di Nolan stesso. Il suono è stato realizzato facendolo respirare profondamente in un microfono ed è poi stato modificato dal compositore Ludwig Göransson.

Gli effetti speciali

Si sa, Nolan non ha voluto usare CGI o Green Screen. Il lungometraggio di 150 minuti contiene soltanto 280 effetti speciali. Per questo ha voluto comprare un vero 747 piuttosto che usare un aereo in miniatura. Il brillante cineasta ha voluto girare ogni scena due volte, una con i movimenti in avanti e l’altra all’indietro. In effetti, nelle scene sulla strada, le auto si muovono sia in avanti che al contrario. Ancora una volta Christopher Nolan ha dimostrato le sue capacità, dando la possibilità al cinema di ripartire, grazie a numerosi incassi già dai primi giorni di proiezione.  

  • "Tenet" di Christopher Nolan
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Author

Fatima Fasano

Laureata in mediazione linguistica e culturale. Amo il cinema, la letteratura, la musica e l'arte. Ogni tanto mi fingo fotografa.
Au milieu de l'hiver, j'ai découvert en moi un invincible été. - Albert Camus

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Principessa Mononoke di Miyazaki, l’uomo nemico della natura

By Lidia Fiore
Principessa Mononoke di Miyazaki

La sfiducia nel genere umano e l’incertezza verso il futuro sono alla base di “Principessa Mononoke” di Hayao Miyazaki. Il regista e disegnatore giapponese ha creato il suo settimo lungometraggio animato da profonda indignazione verso l’umanità. La complicata relazione fra uomo e natura è sempre stato un tema fondamentale nella filmografia di Miyazaki, ma questa volta si distingue per un inaspettato pessimismo che rende la narrazione più oscura, quasi crudele. I colori predominanti sono cupi, tendenti al grigio fuligginoso quando i protagonisti della scena sono umani, mentre sono sulla tonalità del verde brillante quando a dominare è la natura.

«Gli alberi gridano quando vengono uccisi, ma gli umani non possono udire i loro gemiti.» – Moro

“Principessa Mononoke” è ambientato in un periodo storico molto particolare per il Giappone. Il Periodo Muromachi è stata un’era di grande cambiamento, in cui la nazione ha iniziato ad affacciarsi alla modernità. In “Principessa Mononoke” il periodo di transizione verso la modernità è vissuto come un’esperienza traumatica in cui l’uomo tenta di prendere aggressivamente il controllo della natura, per plasmarla a suo piacimento. La risposta della natura è altrettanto aggressiva. Le divinità della foresta lottano instancabilmente per difendere la loro casa, anche se questo significa rinunciare alla vita. Lo scontro fra divinità della foresta e il villaggio della fornace del ferro è il simbolo della modernità che sgomita per avanzare. La morte del Dio Cervo, suprema divinità del bosco, sancisce il superamento dei culti shintoisti legati alla natura. La modernità trionfa, ma non indenne. L’umanità viene smascherata e messa di fronte alla sua crudele malvagità.

“Principessa Monoke” di Miyazaki ha personaggi femminili  fuori dagli schemi. San…

I personaggi femminili sono indubbiamente il punto di forza di “Principessa Mononoke”. In pieno accordo con i suoi canoni narrativi, Hayao Miyazaki sceglie di rappresentare donne coraggiose e indipendenti. Sia San che Lady Eboshi non sono principesse da salvare, ma guerriere feroci disposte a tutto pur di difendere i propri interessi. Tuttavia, ognuna di loro rappresenta una sfumatura diversa della sfera femminile. Sono indubbiamente accomunate da un profondo odio che le domina, ma sono altrettanto profonde le differenze che le separano.

San è la paladina della foresta. È stata abbandonata dai suoi genitori umani e cresciuta da un Dio Lupo. Rinnegata dalla sua stessa specie, San adotta uno stile di vita animalesco, indossando una maschera che copre il suo volto umano, guadagnandosi il soprannome di Principessa Spettro (Mononoke-hime もののけ姫). Come la sua madre adottiva Moro, anche San si batte tenacemente per difendere la foresta dagli umani, facendone la sua battaglia personale. Pur essendo animata da un profondo odio verso gli esseri umani, San non è però una creatura della foresta. La sua natura umana la porta a non essere completamente accettata fra gli animali, mentre gli umani la respingono perché la considerano troppo diversa da loro. San è un’outsider e come tale si muove al di fuori di ogni schema o stereotipo.

…e Lady Eboshi

Il personaggio di Lady Eboshi è del tutto fuori dal comune. Apparentemente segue tutti i canoni dell’antagonista perfetta, ma è solo scavando sotto la superficie che si può scoprire la profondità di questo personaggio. Lady Eboshi è una donna complessa con una caratterizzazione a tutto tondo. L’avere sia un lato oscuro ben evidente, che un lato buono e altruista la rende un personaggio estremamente realistico, simile ad un essere umano. Se da un lato è così crudele da macchiarsi addirittura di deicidio, dall’altra ha creato una roccaforte con le sue mani dove ospita malati gravi e prostitute salvate dalla strada. Il villaggio della fornace di Lady Eboshi è il simbolo del successo della collaborazione femminile. Infatti, gli abitanti sono prevalentemente donne e ricoprono all’interno del villaggio la posizione di rilevanza. Il merito di Lady Eboshi è quello di aver anticipato i tempi creando un ambiente dove uomini e donne sono pari e collaborano.

Tuttavia non si può di certo dire che Lady Eboshi sia un esempio virtuoso da seguire. Il suo irrefrenabile arrivismo le impediscono di vedere il pericolo che il mondo corre nel distruggere la natura. La sua crudeltà la rende capace di eliminare qualsiasi ostacolo ai suoi obiettivi, anche se questo vuol dire decapitare il Dio Cervo.

«Guardate, e imparate qualcosa. Vi mostrerò come si uccide un dio. Voi non avreste il coraggio di farlo, ma Eboshi non teme nulla.» – Lady Eboshi

Il personaggio di Lady Eboshi racchiude in sé il simbolo della modernità. Se da una parte mostra l’atrocità del disastro ecologico che si scatena danneggiando la natura per il progresso, dall’altra offre un modello virtuoso di società paritaria.

Hayao Miyazaki intreccia mitologia e folklore giapponese

“Principessa Mononoke” è estremamente ricco di riferimenti al folklore giapponese, soprattutto alle divinità shintoiste che popolano il pantheon di questo culto. L’esempio più evidente sono le divinità teriomorfe che dominano il bosco. Moro, la madre adottiva di San, è un lupo a due code in grado di comunicare con gli umani. È dotata di straordinaria intelligenza tant’è che è capace di comprendere il linguaggio degli umani. Le sue due code sono simbolo di saggezza e longevità ed è per questo motivo che ogni animale della foresta la tiene in grande considerazione.

Un’altra figura ricorrente strettamente legata allo shintoismo è indubbiamente il Kodama. Si tratta di spiriti legati agli alberi che si manifestano quando la foresta è serena. Sono figure in genere neutre, ma talvolta possono aiutare chi si è perso nel bosco a ritrovare la strada di casa. In “Principessa Mononoke” sono simbolo di fiducia verso il futuro poiché ricompaiono nella foresta quando la guerra fra umani e animali è ormai finita, come simbolo di speranza.

«A quanto pare, la natura stavolta ha avuto la meglio.» – Jigo

I personaggi protagonisti sono invece un richiamo alla mitologia greca e romana. In particolare San, per le sue origini ricorda i miti di fondazione dell’antica Roma. Esattamente come Romolo e Remo, anche San è stata rifiutata dall’umanità e allevata dai lupi che l’hanno invece accettata e cresciuta come una figlia.

Il principe Ashitaka richiama invece l’Ulisse di Omero. Come Odisseo, anche Ashitaka è costretto ad intraprendere un lungo viaggio verso terre selvagge. Il suo viaggio lo porterà a lottare con la parte peggiore di sé, ma sarà anche arricchito dalla conoscenza di San e le altre creature della foresta. Ashitaka è il perfetto simbolo del mediatore che saggiamente cerca di conciliare l’umanità e la natura. In lui è racchiuso il vero messaggio del film: la salvezza del pianeta è possibile, ma sono necessari molti sacrifici. C’è speranza per il futuro, ma l’umanità non deve dimenticare l’importanza di preservare il mondo che lo ospita.

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“La paranza dei bambini” di Giovannesi. Tra camorra e sogni al Berlinale

By Beatrice Andolfatto
Film di Claudio Genovesi: La paranza dei bambini di Roberto Saviano

“La paranza dei bambini” di Claudio Giovannesi. Napoli, Rione Sanità, oggi. Nicola – interpretato dalla giovanissima promessa Francesco di Napoli – ha 15 anni, conduce una vita fatta di uscite con amici, di prime esperienze, prime sigarette, primi amori. Sembra essere tutto normale, ma in realtà non è così. Il nostro protagonista, difatti, inizia con i suoi fidati Tyson, Biscottino, Lollipop, O’Russ e Briatò, ad avvicinarsi alla criminalità, parte integrante – quando non fondante – del sistema sociale. Ma Nicola ed i suoi compagni non compiono la scelta di essere criminali o meno: loro vogliono essere criminali in modo diverso.

La genesi del film e il nuovo successo di Claudio Giovannesi

Il libro da cui è stato tratto questo racconto è “La paranza dei bambini” di Roberto Saviano, che diede alle stampe il suo terzo romanzo, ma primissimo interamente di finzione, nel 2016. Di nuovo si parla di camorra, ma della camorra “giovane”, nuova ma ugualmente organizzata.

A tre anni dall’uscita del bestseller, edito da Feltrinelli, “La paranza dei bambini” diventa un film così prestigioso da essere candidato alla 69esima Berlinale come unica pellicola italiana all’Orso d’Oro. Roberto Saviano ha mantenuto il suo importante ruolo curando la sceneggiatura con Maurizio Braucci e con lo stesso Claudio Giovannesi, che già diresse due episodi di “Gomorra – La serie”. Il regista romano, con il suo tocco personale, è riuscito a dar vita a quello che oggi chiameremmo un teen gangster movie, un po’ surreale, ma pieno di energia tipica dei “guaglioni”.

“La paranza dei bambini” e la visione della città partenopea

Napoli, ancora una volta, preserva tutta la sua identità popolare. Ma non in senso discriminatorio: vivere ai limiti fra criminalità e innocenza rende il capoluogo campano un luogo perfetto per le tragiche contrapposizioni di tutta la vicenda. I protagonisti, con lo sguardo fiero, intenso, in realtà sono solo dei bambini che si atteggiano da adulti. Adulti che possono addirittura sembrare degli eroi, dei condannati, adulti che giocano a fare la guerra. Diventano ragazzi educati fin troppo presto alla morte con i capi di camorra come unico punto di riferimento; “guaglioni” che restano con gli occhi pieni di stupore davanti a una pistola o a un AK, lo stesso che può garantir loro potere, soldi, donne – o meglio, coetanee -, in un contesto di emarginazione, di miseria, di false speranze.

La maestria di Claudio Giovannesi consiste nel tralasciare la dimensione sociale: Nicola e i suoi amici sono gli unici protagonisti della storia. Protagonisti che possiedono scariche di adrenalina come tutti gli adolescenti, che cercano il successo in un mondo destinato a farli vittime. Il messaggio però non si limita a “dindi”, fama e rispetto: Nicola, nel suo piccolo che diventerà presumibilmente grande, vuole in verità cambiare la realtà fatta di racket, pizzo ed estorsioni, in cui la stessa madre, proprietaria di una lavanderia, è coinvolta. Vuole, a modo suo, fare giustizia. Vuole guadagnarsi l’amore e la venerazione della gente, passo dopo passo. Si comincia ad andare “a faticà”, a spacciare in piazza dell’Università, per poi impugnare le armi inneggiando a una forma sbagliata di equità.

L’adolescenza avanza verso il mondo degli adulti

Claudio Giovannesi, tra rappresentazioni naturalistiche e movimenti di macchina studiatissimi, parla del disincanto del nostro Nicola, quello che possiamo definire il povero illuso della situazione, il sognatore che desidera solo ribaltare il suo punto di vista sul quartiere e cambiare le regole a modo suo. Protagonisti restano gli sguardi: dopo aver osservato, è Nicola che vuole rovesciare tutto, è Nicola che vuole essere l’oggetto delle occhiate fugaci di coloro che aveva ammirato fino a un minuto prima.  Dopo aver “faticato” e quindi dopo aver guadagnato il suo primo gruzzoletto, Nicola si mette all’opera per conquistare Letizia, una “guagliona” con grandissimi occhi da cerbiatta e lunghi capelli scuri. Ci prova, Nicola, portandola all’opera al San Carlo.

L’emozione che il nostro protagonista prova, tra quel palchetto di velluto rosso che copre la qualunque e gli sguardi di candido e totalizzante stupore, è la stessa che “O’ Maraja” sente quando prende una rivoltella tra le mani la prima volta… La stessa di quando finalmente riesce a pagarsi un tavolo in discoteca, la stessa di quando si sente minacciato dagli sguardi dei boss degli altri rioni, la stessa di quando, dopo poco tempo, si sente acclamato dagli abitanti del suo quartiere, che lo ringraziano mentre lui li saluta dall’alto del balcone di casa. Nicola è un adolescente: ovvio che crede di poter realizzare i suoi desideri. È lo stesso ragazzo che, tra una rapina e uno spinello, vuole assolutamente mangiare, senza condividerla col fratellino, l’ultima crostatina per colazione.

  • La paranza dei bambini di Roberto Saviano
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  • "La paranza dei bambini" di Claudio Genovesi
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1 Comment
    Vera mininni says:
    Agosto 31st 2020, 4:32 pm

    È un bellissimo articolo da cinefilo! Si capisce che il cinema la appassiona ed è scritto per persone che lo amano altrettanto! Pieno di notizie interessanti e privo di critiche o di inutili ed eccessive enfasi che spesso vengono utilizzate! Mi è piaciuto molto!

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