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Una questione privata di Beppe Fenoglio. Riflessione d’intrecci

By La Redazione
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"Una questione privata" di Beppe Fenoglio

Nel 1963, Garzanti pubblica il romanzo breve “Una questione privata” di Beppe Fenoglio. L’opera uscita postuma, ha come teatro la Resistenza nelle Langhe, terra d’origine dell’autore, ove il protagonista, il partigiano Milton, parte per un viaggio alla ricerca del più prezioso dei tesori: la verità sulla sua amata Fulvia. Purtroppo il giovane patriota non troverà quanto desidera né tantomeno il lettore riuscirà scoprirlo. Il XIII e ultimo capitolo si chiude, infatti, con la descrizione della sua fuga dal fuoco dei fascisti, che si interrompe di netto non appena arrivato in una boscaglia, in cui il protagonista crolla esausto.

“Una questione privata” di Beppe Fenoglio. Recensione in una matassa di storie

Il romanzo si dipana come una serie di scatole cinesi che il povero Milton è costretto ad aprire dall’accanirsi degli eventi. Deciso a scoprire la verità sull’ipotetica liason carnale dell’estate precedente tra Fulvia e il fraterno amico Giorgio Clerici, parte alla sua ricerca per un confronto nel vicino paese di Mango, dove anche egli è partigiano, ma, avendo appreso che questi è stato appena catturato dai fascisti, inizia a peregrinare da una collina all’altra a piedi con l’intento di procurarsi un prigioniero con cui scambiare il rivale in amore, salvarlo e finalmente sapere la verità. Italo Calvino paragona l’intreccio del libro a quello de “L’Orlando Furioso” per meglio descriverne la “geometrica costruzione”.

L’autore con assoluta maestria riesce, attraverso l’ampio uso di flashback e di una severa narrazione in terza persona, a raccontare al lettore altre due storie oltre a quella principale del viaggio di Milton verso la verità. In primo luogo la primavera del 1942: la cornice che vide nascere e crescere l’amore del protagonista per Fulvia, evocato attraverso la visione della villa e il ricordo delle canzoni suonate al grammofono. Tra tutte, “Over the rainbow” tornerà spesso alle orecchie del partigiano durante il suo cammino, suscitando in lui ferventi ricordi proustiani di quei giorni spensierati. In secondo luogo ci propina le vicende della guerra civile: stanca, sporca e a volte dilettantesca, combattuta per lo più da renitenti, farabutti e minorenni. Sarà proprio quella sua narrazione asettica, disincantata, antieroica, lontana anni luce dalla brulicante retorica di parte, a far attirare su Fenoglio le antipatie di buona parte degli intellettuali anti-fascisti.

I personaggi in balia di una natura avversa

Le Langhe, quindi, fanno da sfondo a “Una questione privata”. Lo stesso territorio che oggi è annoverato tra i patrimoni mondiali dell’umanità dell’Unesco – meta di turismo d’elite per il tartufo bianco e i vini pregiati – ai tempi di Fenoglio è invece un’area inospitale coperta di boschi e costellata solo di piccoli paesini, o sparute borgate, abitati per lo più da pastori e contadini. Il paesaggio non è però solo il naturale sfondo della guerra civile, contribuisce infatti a condizionare i personaggi e talvolta a travolgerli, conferendo al lettore un continuo senso l’inadeguatezza.

Fin dalle prime pagine, infatti, le stesse colline sono descritte come luoghi inospitali: creste insormontabili battute dal vento o avvolte da fredda nebbia, che tutto e tutti ottenebra. Da queste crude rappresentazioni traspare la fatica stessa dei poveri partigiani costretti a doverle valicare, giorno e notte, affondando gli scarponi ed inzuppandosi i piedi in fiumiciattoli di fango che dovrebbero essere sentieri.

Il cammino di Milton verso la verità non fa eccezione. Si trasforma in una sorta di calvario tra la natura avversa, intervallato solo da un paio di soste in alcune cascine isolate i cui tratti distintivi, i tetti malconci, i muri gonfi di muffa e i ballatoi rattoppati con latte di fortuna, sono presenti anche in altre opere fenogliane (come la casa dello zio Paco ne “Ma il mio amore è Paco” o del moroso Davide Cora ne “L’apprendista esattore”) e assurgono a leitmotiv della miseria, padrona di quelle disgraziate colline.

L’acqua in ogni suo stato interviene e condiziona l’azione

L’autore dà la stessa valenza anche a vegetazione e a tempo atmosferico, che assumono quasi un carattere mistico, di presagio. È la visione di un albero in cima ad una spoglia collina che trasmette infatti al protagonista la consapevolezza di dover compiere la propria missione in solitudine. Il bosco viene reso come un’ancora di salvezza, con funzione di deus ex machina per i personaggi del romanzo. In particolar modo ciò avviene per Milton il quale, grazie alla macchia, riesce in primo luogo a tendere un agguato al sergente Rozzoni, ma soprattutto a mettere fine alla sua fuga dalle pallottole fasciste. Gli alberi infatti si serrano alle spalle del partigiano «come un muro».

Riguardo gli eventi atmosferici, invece, da sottolineare la prima parte dell’opera in cui la nebbia è il fattore scatenante della cattura di Giorgio. Questo fenomeno è descritto nei minimi particolari con tratti quasi animisti, «poppe e lingue», come se volontariamente facesse perdere il sentiero verso il comando agli increduli partigiani della squadra di Clerici e li dividesse dal compagno. La stessa pioggia ha un ruolo importante all’interno del romanzo. Sembra, infatti, che nonostante l’autunno inoltrato, l’agognata neve, ostacolo alle operazioni fasciste e prezioso alleato dei partigiani, tardi ad arrivare, così è l’acqua a far da padrone: cattiva, insidiosa e infida come un supplizio dantesco.

“Una questione privata” di Beppe Fenoglio. Pagine sull’ineluttabilità del tempo atmosferico

È proprio a causa di tutta la pioggia che gli cade addosso, che Milton ha tosse e febbre, soffre nel corpo e nell’anima e ha l’allucinazione dei “quattro” soldati fascisti che, dopo essere stati catturati da lui stesso insieme al aribaldino Hombre a Verduno, si erano condannati a morte in un vano tentativo di fuga. L’episodio suona come un sinistro presagio di fallimento all’esito del piano del protagonista di organizzare uno scambio di prigionieri. È attraverso l’impatto che ha sull’ambiente, mutando repentina da acquerugiola a temporale, allagando campi, ingrossando torrenti, che la pioggia governa i personaggi del romanzo e detta i tempi della missione di Milton fino a quando questi vi si ribella. La sfida conscio che Giorgio, la verità e Fulvia non possono più aspettare, dopotutto…

«somewhere, over the rainbow, skies are blue, and the dreams that you dare to dream really do come true»

Autore: Marco Astegiano

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La Redazione

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“L’amico ritrovato” di Fred Uhlman, un capolavoro in miniatura

By Federica Sanguigni
"L'amico ritrovato" di Fred Uhlman

“L’amico ritrovato” di Fred Uhlman è un romanzo in miniatura, scritto nel 1971 – anno in cui apparve negli Stati Uniti – ed edito in Italia da Feltrinelli.

Il capolavoro minore di Fred Uhlman

Così lo scrittore Arthur Koestler definì “L’amico ritrovato” quando, dopo averlo letto, scrisse all’autore del libro. Minore per le dimensioni ridotte dell’opera e perché scritto in tono minore, pieno di nostalgia. Il fulcro attorno al quale ruota la vicenda è l’amicizia. Un’amicizia straordinaria tra due ragazzi che frequentano la stessa scuola, nel 1933, in Germania, quando l’odore nauseabondo delle idee naziste comincia già a infestare l’aria. È in questo periodo, dunque, che si conoscono Hans Schwarz, figlio di un medico ebreo e Konradin von Hohenfels, di famiglia aristocratica.

«Non ricordo esattamente quando decisi che Konradin avrebbe dovuto diventare mio amico, ma non ebbi dubbi sul fatto che, prima o poi, lo sarebbe diventato.»

Hans ha un’idea molto romantica dell’amicizia ed è per questo che è solo. Nessuno risponde ai suoi ideali. Nessuno è mai riuscito a comprendere il suo bisogno di lealtà e di fiducia. Darebbe la vita per un amico che sia come lui desidera, ma non ne ha mai trovato uno che fosse all’altezza.

“L’amico ritrovato” di Fred Uhlman. Un’amicizia che resiste al corso della storia

L’arrivo di Konradin, però, cambia le cose. L’aristocratico sedicenne ha tutte le qualità per piacere a Hans e quest’ultimo fa di tutto per attirare la sua attenzione. Quando finalmente le due anime si incontrano sulla strada dell’amicizia, «il quindici marzo – una data che non dimenticherò più -» per i due ragazzi inizia un cammino molto emozionante.

«Era una sera primaverile, dolce e fresca. I mandorli erano in fiore, i crochi avevano già fatto la loro comparsa, nel cielo – un cielo nordico in cui indugiava un tocco italiano – si mescolavano il blu pastello e il verde mare.»

Sembra che anche il creato si sia vestito a festa per onorare un momento così importante e per rendere il sigillo del patto d’amicizia eterno come solo un sentimento vero e corrisposto può essere.

«Davanti a me vidi Hohenfels; pareva esitare come se fosse in attesa di qualcuno. […] Si voltò e mi sorrise. Poi con un gesto stranamente goffo ed impreciso, mi strinse la mano tremante. “Ciao, Hans,” mi disse e io all’improvviso mi resi conto con un misto di gioia, sollievo e stupore che era timido come me e, come me, bisognoso di amicizia.»

Hans e Konradin trascorrono mesi felici e spensierati. Divenuti inseparabili, passano il loro tempo a parlare, a confrontarsi, esplorando la natura circostante e declamando i versi della poesia preferita. Nulla sembra turbare il loro piccolo ed entusiasmante mondo. Presto, però, le cose cambiano. La situazione politica in Germania si fa pesante e vengono promulgate le leggi razziali.  Hans è ebreo. La famiglia von Hohenfels è filo nazista e Konradin sceglierà di seguirne le ideologie. La Storia mette così a dura prova il rapporto d’amicizia tra i due sedicenni, che si incrina irrimediabilmente e che, solo alla fine, risorgerà.

Trascorsi trent’anni, infatti, Hans avrà la possibilità di restituire a quell’amicizia che aveva considerato immortale, la sua giusta collocazione nell’eternità. Konradin, con un gesto inimmaginabile di cui Hans verrà a conoscenza, riuscirà a riconquistare la fiducia dell’amico anche se oltre i limiti terreni. Sarà così che diventerà, per il suo Hans, “l’amico ritrovato”.

Il calvario del nazismo attraverso gli occhi di due amici

Attraverso la narrazione in prima persona, quasi un diario-confessione, Fred Uhlman sembra prenderci per mano e condurci nelle pieghe più intime dell’animo dei due protagonisti, uniti dal meraviglioso sentimento dell’amicizia. Un rapporto che prova a resistere ai venti malvagi dell’ideologia nazista che, subdola, si insinua sotto pelle sporcando la bellezza di una storia nata per durare per sempre e che costringe i due ragazzi a fare scelte opposte che li porteranno a dividersi. La delusione e il dolore peseranno come un macigno sul cuore di Hans, anche a distanza di anni.

«Le mie ferite non si sono ancora rimarginate e, ogni volta che ripenso alla Germania, è come se venissero sfregate con il sale.»

Solo la scoperta finale di quello che è stato, aiuterà Hans a far riemergere il buono dell’antica amicizia. Un piccolo romanzo che, inevitabilmente, ci fa riflettere sui valori fondamentali della vita, sulle ingiustizie e sugli ideali da difendere. Un racconto che ci permette di indagare i nostri animi, chiedendoci che cosa saremmo veramente disposti a fare per un amico. Una storia emozionante e commovente, breve ma intensa che, come tante altre, ci ricorda gli orrori che molti ancora negano. Un piccolo libro che, come pochi altri, sfiora quegli orrori quasi con delicatezza, attraverso il commovente ricordo di un ragazzo, ormai uomo, che ritrova, nel gesto inaspettato dell’amico, la pace al suo dolore e la conferma di quello che fu.

Breve sinossi

Germania, 1933. Due sedicenni frequentano la stessa scuola esclusiva. Uno è figlio di un medico ebreo, l’altro è di ricca famiglia aristocratica. Tra loro nasce un’amicizia del cuore, un’intesa perfetta e magica. Riuscirà a non essere spezzata dalla Storia? Racconto di straordinaria finezza e suggestione, “L’amico ritrovato” di Fred Uhlman è apparso nel 1971 negli Stati Uniti ed è poi stato pubblicato in tutto il mondo con unanime, travolgente successo di pubblico e critica.

“L’esclusa” di Luigi Pirandello. La parabola del disfacimento

By Jennifer Orofino
"L'esclusa" di Luigi Pirandello

“L’esclusa” di Luigi Pirandello è il suo primo romanzo. Il titolo inizialmente pensato da Pirandello è “Marta Ajala”, ma quando il romanzo viene pubblicato nel 1901 sulle pagine della rivista “La tribuna”, prende il nome de “L’esclusa”. La pubblicazione in volume è del 1908, Pirandello lavora al testo anche negli anni seguenti per arrivare alla stesura definitiva del 1927.

Sebbene in apparenza la storia segua il modello naturalista fondato sul nesso causa-effetto in ordine cronologico, in realtà anticipa le caratteristiche degli altri romanzi pirandelliani e di gran parte della letteratura che viene fuori tra fine Ottocento ed inizio Novecento. Abbiamo quindi temi come la crisi d’identità, il contrasto realtà/apparenza e soprattutto il relativismo. Nulla è più certo nella realtà in cui si vive, si pensa di possedere la verità assoluta, ma non è affatto così.

“L’esclusa” di Luigi Pirandello fra descrizione naturalista e introspezione psicologica

Le sequenze narrative non predominano all’interno del romanzo, al contrario prevalgono quelle descrittive e riflessive. Se le prime richiamano il modo di narrare dei naturalisti, attenti alla resa dei minimi particolari, le seconde anticipano il romanzo del Novecento. Le descrizioni sono molto accurate, soprattutto quelle dei personaggi approfonditi nell’aspetto psicologico, sociale e culturale attraverso rispettivamente le abitudini, gli interessi e gli ideali. La scrittura di Pirandello deve la sua incisività al ricorso di numerose similitudini e metafore.

Tutti i fatti presentati seguono una logica per cui ad ogni causa corrisponde un effetto, tuttavia nello stesso tempo ogni avvenimento della vita di Marta è determinato da una serie di sfortunate circostanze casuali che finiscono per rendere reale ciò che in realtà è falso. Marta, nonostante tutto, è un personaggio forte e non vuole assolutamente mostrarsi fragile di fronte agli altri. Una volta esclusa dal paese in cui vive, prova ad emanciparsi attraverso il lavoro, si ribella alle regole soffocanti del suo piccolo paese. Il tentativo di ricostruire la sua vita a Palermo fallisce col ritorno al paese d’origine e il ristabilimento dell’ordine iniziale. Non a caso il romanzo presenta una struttura a parabola: la vita di Marta dopo aver raggiunto l’ascesa palermitana subisce una brusca discesa che la riporta al punto di partenza, al piccolo paese asfissiante. Il finale è chiuso, caratteristica ancora tipica dei romanzi ottocenteschi.

La visione della società

La storia di Marta può essere letta non solo come espressione di una società fortemente arretrata, legata a determinate convenzioni sociali e familiari, ma soprattutto patriarcale, a tal proposito sono significative le parole pronunciate da Francesco Ajala, il padre di Marta:

«Giusto è che una figlia insudici il nome del padre! Che si faccia scacciare come una sgualdrina dal marito, e poi venga ad insegnarne l’arte alla sorella minore!» – Francesco Ajala, capitolo III

È probabile che l’atteggiamento di Francesco, di Rocco e dell’intero paese sarebbe stato diverso se il presunto adulterio fosse stato consumato dal marito piuttosto che dalla moglie. Da questo punto di vista il romanzo è molto attuale, ancora oggi purtroppo nella nostra società ci sono realtà marcatamente patriarcali. Cambiano gli usi e costumi, ma molte mentalità sono chiuse e poco inclini al cambiamento. Restano eterne  le tematiche relative alla frantumazione dell’io e all’incomunicabilità umana.  Conoscere, leggere, approfondire e comprendere gli scritti di Luigi Pirandello significa anche immergersi nel nucleo della società, oggi come allora. 

1 Comment
    Gianluca says:
    Aprile 24th 2020, 4:36 am

    Molto molto interessante…

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